Fabio Marino ci parla del dio Min, una divinità poco nota del pantheon egizio. Per molti studiosi, potrebbe essere addirittura il dio supremo del Predinastico. L’autore si sofferma sui caratteri distintivi di Min: il fallo in erezione, il braccio che reca il flagello e le due piume sul capo.
Nel variegato pantheon egizio, caratterizzato dal sovrapporsi, fondersi e confondersi di numerose divinità nelle more del notissimo sincretismo di quel popolo, un posto particolare merita un dio per lo più sconosciuto, eppure importantissimo. Mi riferisco a Min (fig. 1), il cui nome viene indicato, in caratteri geroglifici, secondo una delle tre forme seguenti, laddove, specialmente nel primo e terzo ideogramma, sono presenti, stilizzati, i caratteri distintivi del dio: il fallo eretto, il braccio che tiene il flagello, la piccola corona e le due piume sulla testa.
Ma chi era Min? Qual era la sua funzione nell’Olimpo della Valle del Nilo? Va subito detto che non si trattava, come si potrebbe sospettare dalla sua scarsa “notorietà”, di una divinità minore.
Al contrario, la sua origine (sicuramente preistorica: esiste una tavoletta del Gerzeano –databile intorno al 3.600 a.C.- nota come “Tavola di Min”, perché presenta una delle prime raffigurazioni del dio, ritrovata nella tomba B62 ad El Amrah –fig. 2) induce molti studiosi ad ipotizzarne l’identificazione con il dio supremo del Predinastico, almeno per quanto riguarda l’Alto Egitto, di cui sembra originario.
Sebbene il suo culto fosse ampiamente diffuso in tutto il percorso del Nilo, infatti, è nella zona grossolanamente compresa fra l’ansa di Qena e la prima cataratta o poco più a Sud che si riscontra una inedita presenza della divinità.
Il Deserto Orientale, ricco di grandi sorprese per molti versi ancora da classificare, è disseminato di petroglifi che sembrano ritrarre chiaramente Min, identificato grazie ai suoi principali caratteri distintivi: una figura itifallica (cioè con il pene in erezione), con due piume sul capo (il che va sottolineato, in prospettiva di un’ipotesi nuova e suggestiva) ed il flagello nella mano distesa.
Il fatto che (in un’epoca imprecisata collocata fra la preistoria vera e propria e un periodo compreso fra il Predinastico e gli albori dell’Antico Regno) la figura del dio possa aver rappresentato addirittura il “Dio dello Stato”, per lo meno nella vasta area controllata ed influenzata da Nekhen/Hieracompolis, si appoggia su una serie di considerazioni assolutamente condivisibili: in primo luogo, parecchi passi dei “Testi delle Piramidi” (fig. 3) (fisicamente redatti –va ricordato- intorno al 2.400 a.C., ma di origine certamente molto più antica) sembrano provare l’esistenza di un “Reame di Min” predinastico ed oscuro; ad esempio, sembra accertato che laddove, nei Testi, si parla di “Colui che volge il suo braccio ad Est”, il riferimento sia proprio a Min.
E la stessa divinità presiede (ispira?) l’antichissima festa Heb-Sed (il giubileo del Faraone, celebrato al trentesimo anno di regno, e successivamente ogni due o tre anni, di origine predinastica), ringiovanendo simbolicamente il Sovrano e restituendogli la fertilità della gioventù. In secondo luogo, il primato/primazia del dio itifallico per eccellenza pare confermato dall’onomastica di gran parte dei Principi reali dell’Antico Regno, in quanto quasi tutti i nomi teofori (cioè i nomi di persona che contengono un nome divino) di quel periodo venivano formati esclusivamente con le radici e desinenze dei nomi Ra, Horus e Min.
La presenza del simbolo regale del flagello, poi (sempre presente nelle raffigurazioni iconografiche della divinità), rafforza l’idea di una notevole importanza di Min nella preistoria dell’antico Egitto; se si aggiunge l’osservazione che alcuni suoi epiteti e alcune feste celebrate in suo onore appaiono completamente arcaiche, quasi cristallizzate in un passato lontano ed indefinibile, l’idea di un Min divinità suprema dello Stato (o del pre-Stato) egizio non appare affatto inverosimile. A parte altri attributi di cui dirò fra poco, Min era adorato quale divinità della pioggia, essendo denominato: “Colui che apre le nubi“, ma era anche invocato come “Colui che ha creato la vegetazione, permettendo la vita del bestiame“. Appare chiara, dunque, l’associazione a credenze tipicamente africane relative al bestiame, e non va dimenticato che il suo epiteto di “Padre dei Negri” nonché il colore sempre nero del suo volto sottolinea l’origine meridionale (quindi dell’Alto Egitto) del dio, sebbene sia chiaramente co-presente anche il significato simbolico del “nero” associato al limo del Nilo. In effetti, non deve perciò destare meraviglia se, anche in epoca dinastica, il 9° nòmo dell’Alto Egitto portava proprio il suo nome (egli ne era la divinità eponima, dunque), e se era la divinità assoluta di quella provincia (sita nella zona di Akhmim) ed una delle principali del 5° nòmo (“Due Falchi”, nell’area di Qift/Koptos/Gebtu), insieme a … Seth.
Il suo nome potrebbe significare “uomo”, e nessuno se ne stupirebbe vista la connotazione itifallica. La radice etimologica è di verosimile origine afro-orientale, vista la corrispondenza con la radice somala ed est-sudanese “mun” (=maschio); in rare circostanze, il nome è riportato come Amsu. A volte è sposo, a volte figlio (consuetudine nota nell’Egitto dinastico…) di una dea chiamata Qadeš, la quale -si badi bene: sarà utile in una prospettiva futura- sembra essere “importata” dalla Siria ed identificarsi con Astarte/Inanna/Ishtar.
Naturalmente (e non poteva essere altrimenti) era anche il Dio della virilità, della potenza sessuale e della fecondità; gli era anche associato (come incarnazione della potenza virile) e consacrato un toro bianco ornato con il disco solare.
Nel suo testo sulle divinità dell’Antico Egitto, Mario Tosi descrive efficacemente gli avvenimenti che segnavano le celebrazioni in onore di Min: “Durante la festa annuale per il raccolto il sovrano faceva una processione solenne e con gran pompa si dirigeva verso il santuario del dio per esaltare la bellezza di suo padre Min (il grassetto è mio) e per fare offerte al suo ka. La statua del dio era portata a spalle da ventidue sacerdoti, preceduta da piccole statue del re e seguita da un lunghissimo corteo di sacerdoti, da portatori delle insegne divine e di statue di antichi sovrani, dalla regina e da altri sommi sacerdoti; prima della statua di Min camminavano il re ed il toro bianco sacro al dio, preceduti dal capo dei sacerdoti-lettori che cantava inni, spargendo incenso sul re, sul toro e sulla statua di Min”.
Un ultimo aspetto “generale”, molto interessante, che si riallaccia ai numerosi rinvenimenti di petroglifi nel Deserto Egiziano Orientale e che sarà alla base di un altro lavoro, è che, nonostante la sicura associazione con la fertilità, Min è comunque conosciuto come il “Signore del Deserto Orientale”, ed in questo ruolo proteggeva le carovane e le piste che da Gebtu/Koptos/Qift conducevano al Mar Rosso; inoltre, nella sua qualità di “Signore delle Genti Straniere” era il protettore di nomadi e cacciatori. Difatti, non può essere un caso se il Faraone del Medio Regno Mentuhotep IV (XX secolo a.C. circa) emette un decreto, su cui fra l’altro si legge: “…Sua Maestà ordinò l’emissione di questo decreto in nome di Suo Padre Min, Signore delle Terre Straniere, il Nobilissimo Primo Dio, Primo fra gli Abitanti della Terra dell’Orizzonte… Min di Gebtu, Signore del Paese delle Colline (NdA: la Nubia? La costa del Mar Rosso presso Marsa Alam?), Colui che è al di sopra del Capo dei Rematori, … Colui che eternamente vive in Ra”.
Un’ultima curiosità, prima di procedere: secondo alcuni studiosi, la figura di Min avrebbe una forte connotazione evemerista, trattandosi, in effetti, di un personaggio realmente esistito (un eroe oppure un astuto ingannatore, secondo le traduzioni seguite), elevato in seguito al rango divino.
Questa lunga introduzione era necessaria per procedere dettagliatamente alla descrizione di un’osservazione certamente curiosa, probabilmente interessante, forse di rilievo. Osservazione che risale a un viaggio lungo il corso del Nilo effettuato nel 2010 dai miei genitori (per mio padre un ritorno alle origini dopo oltre sessant’anni!). Questa fotografia (fig. 4) è stata scattata all’interno del tempio di Kom Ombo proprio da lui, colpito ed incuriosito da questa strana divinità immortalata di fatto nell’atto di eiaculare (a quel che sembra). E, sempre a quanto pare, questo dettaglio non ha mai attratto alcun viaggiatore, visto che sembra proprio esserne l’unica fotografia in rete.
È necessario introdurre qualche elemento di valutazione, per evitare il rischio di essere fuorviati. È assolutamente certo che i resti del tempio/santuario di Kom Ombo (fig. 5) sono di origine tolemaica, e quindi relativamente recenti. Tuttavia, appare pacifico che i Tolomei siano “semplicemente” stati gli ultimi, in ordine di tempo, a restaurare il santuario, prevalentemente dedicato al dio-coccodrillo Sobek. Infatti, esistono testimonianze storiche dell’esistenza plurimillenaria di un villaggio o di una cittadina nei pressi dell’odierna Aswan (la greca Syene): per l’appunto, Kom Ombo.
Per la sua posizione strategica sul Nilo, la città è sempre stata sede di una guarnigione militare, dal Predinastico in poi e per tutta la durata dell’Impero egizio, fino al 30 a.C. Ma v’è di più: è nelle sue immediate vicinanze che sono stati rinvenuti alcuni dei resti più antichi dell’intera Valle del Nilo. Si tratta di lame, bulini, attrezzi vari in pietra attribuibili con sicurezza al periodo detto “Sebiliano”; nella fattispecie, i reperti più antichi vengono datati al 12.500±30 BP (=prima del presente=circa 10.500 a.C.). Perché sono necessarie tutte queste precisazioni? Perché è probabile che il bassorilievo della fig. 4 sia una “riedizione” di un bassorilievo preesistente, di molto (ma intendo proprio di molto…) più antico.
Alcuni elementi balzano all’occhio guardando la fotografia: in primo luogo, si evidenzia (benché solo parzialmente) una figura itifallica sulla destra; poi, una serie di geroglifici (il cui significato non è pertinente in questa sede ed ininfluente ai fini di questa analisi); infine, l’eiaculazione (apparente?) della figura divina, con sovrapposizione di un altro geroglifico. Dopo la lunga dissertazione introduttiva, non si stupirà nessuno nell’apprendere che il dio parzialmente ritratto è certamente Min. Voglio sottolineare un fatto: a parte Min, quello che si vede nella foto sono tutti geroglifici. Però… almeno uno dei geroglifici è “scritto” in maniera speculare alla redazione comune (fig. 6)
Si tratta di un geroglifico avente il significato di “acqua, fertilità, purificazione”: assolutamente non sorprendente, tenuto conto che Kom Ombo era un santuario “medico”, dedicato, fra l’altro, alla cura delle malattie veneree (segnatamente gonorrea). Non è chiaro, all’occhio, se il geroglifico sia completo (data anche la sicura inversione del medesimo), oppure se il glifo per “acqua” sia sganciato e semplicemente sovrapposto all’eiaculazione dal fallo.
Il “sistema analogico” a cui da qualche tempo faccio riferimento, però, mi ha invitato ad un’osservazione, che tal quale rinvio al Lettore che mi ha seguito fin qui. Non appare stupefacente in questo contesto specifico (niente facili battute, per favore!) che il glifo classicamente assimilato ad una “brocca che versa acqua” somigli in maniera incredibile ad uno spermatozoo ripreso al microscopio elettronico? Testa, colletto glicoproteico, coda/flagello (con tanto di “fumettistico” effetto per rendere l’idea del movimento rapido): al nostro geroglifico non manca davvero nulla (figure 7 e 8) per dare l’idea della reale volontà di ritrarre uno spermatozoo.
Ora, mi pare (deformazione professionale biomedica a parte…) che l’analogia/somiglianza sia inconfutabile. Naturalmente, il bassorilievo contiene l’immagine di un dio, e alcuni geroglifici. Naturalmente.
Ma poniamoci qualche domanda, sempre nell’ottica di chi sfrutta le conoscenze moderne per cercare una spiegazione a fatti poco chiari del passato (e, come abbiamo visto nei precedenti scritti, in Egitto, nell’Antico Egitto c’è ancor tanto di poco chiaro, nonostante le rassicuranti rassicurazioni dell’Egittologia ufficiale): e se il geroglifico, indubitabilmente associato al significato di “acqua, purificazione, fertilità” avesse, in un passato ben più remoto, assolto più semplicemente ad un’effettiva ed esclusiva funzione pittografica e descrittiva? Se, in altri termini, in un’origine così lontana da essere ben oltre il nostro attuale orizzonte storiografico qualcuno avesse trasmesso davvero proprio la visualizzazione di uno spermatozoo? E se questa conoscenza ancestrale, via via perduta, avesse assunto nel tempo, durante i millenni, una connotazione sempre più simbolica, fino a diventare un “semplice” geroglifico?
Non va sottovalutato, a mio giudizio, il fatto che questo geroglifico (perché di questo parliamo: di geroglifici) racchiuda in sé un simbolo assoluto, in Egitto come ovunque, e cioè il significato intimo di “vita”. L’acqua, infatti, è indispensabile per la vita dei nostri sistemi biologici; e la vita procede anche attraverso il seme, gli spermatozooi. Quindi, si può speculare una transizione del tipo: osservazione diretta di un elemento biologicoàtrasmissione figurata e figurativa di questa conoscenzaàperdita del significato direttoàpassaggio al significato simbolico, con conservazione, però, del “sottotesto” originario.
Ribadisco: siamo ben oltre delle semplici supposizioni o ipotesi. Siamo nel campo della speculazione. Tuttavia, rimane comunque da spiegare come mai proprio in uno dei luoghi più santi di tutto l’Alto Egitto; in uno dei luoghi in cui è attestata la maggiore antichità di insediamenti umani nella Valle del Nilo; in uno dei non moltissimi siti in cui è storicamente accertata per circa trentadue secoli l’esistenza ininterrotta di insediamenti civili esista una raffigurazione così straordinaria e apparentemente denotante una conoscenza scientifica clamorosa (tra l’altro, a Kom Ombo esistono raffigurazioni di strumenti chirurgici molto moderni: fig. 9)
Sto per caso affermando che gli antichi Egizi o i loro immediati antenati possedevano una tecnologia comparabile a quella necessaria per ideare e costruire un microscopio elettronico a scansione? Non sono ancora uscito di senno, grazie dell’interessamento!
Sto semplicemente percorrendo un fil rouge che lega –fra gli altri elementi- la cerimonia dell’apertura della bocca, l’idea in sé della mummificazione, il megalitismo minimale dei monumenti egizi più antichi, l’apparente esistenza di conoscenze avanzate con un modello specifico di sviluppo della civiltà egizia (e probabilmente dell’intera civiltà umana) che si discosta fortemente da quello che i testi “scolastici” ad oggi riportano.
Se la speculazione visionaria che ho qui dibattuto fosse fondamentalmente corretta, ho già scritto in altra sede (e lo ribadisco in questa) che ci troveremmo davanti ad un’autentica “smoking gun”, e l’Egittologia classica avrebbe un gran bel daffare per sistemare le cose. In ogni caso, nessuno ancora ha trovato i resti di una radio nel sarcofago di Cheope: lo sanno tutti.
Si può dunque solo lavorare con i dubbi che i miti e le leggende lasciano. Il problema, dunque, alla fine diventa: sono solo le tracce e le vestigia tecnologiche a rendere ragione dell’esistenza possibile di una civiltà? Oppure, trascorso inesorabile il tempo della consunzione dei manufatti, esiste anche una “via antropologica” per riconoscere l’effetto di una civiltà superiore? In altri termini: prima dell’Homo mithologicus esiste o no una civiltà superiore e perciò mitopoietica? La mia personale opinione è che i binari corrono sempre paralleli. Ma a volte resta solo uno dei due binari.
In chiusura di questo lungo articolo, mi sia permesso ringraziare mia Madre, che mi ha insegnato ad amare la Storia, e mio Padre, che mi ha insegnato ad amare l’Egitto. Tra l’altro, senza le loro fotografie questo articolo non sarebbe mai nato.
BIBLIOGRAFIA MINIMA:
- Barca, N. Sovrani predinastici egizi, Ananke, Torino, 2006;
- Cimmino, F., Dizionario delle dinastie faraoniche, Bompiani, 2003;
- Dall’Agnola, M., Mitologia e dèi dell’Antico Egitto, FerrariSinibaldi, 2010;
- Flinders Petrie W. M., The religion of Ancient Egypt, Constable, Edimburgo, 1906;
- Gardiner, A., La civiltà egizia, Einaudi, Torino, 1971;
- Hart, G., Egyptian Myths, British Museum Press, London, 1993;
- Rohl, D., La Genesi aveva ragione, PIEMME, 2000;
- Shorter, A. W., The Egyptian Gods, Routledge & Kegan Paul, London (trad. italiana: Gli Dèi dell’Egitto, 1980);
- Traunecker, C., Les dieux de l’Egypte, Presses Universitaires de France, Paris, 1993.