Colombo potrebbe non essere stato il primo a raggiungere il Nuovo Mondo.
La strada per seguire quest’affascinante possibilità potrebbe essere lastricata anche da alcuni reperti impossibili.
Il primo della lista è il vaso “Fuente Magna”, scoperto dalla famiglia Manjon negli anni Cinquanta del secolo scorso a Chua, un’ottantina di chilometri da La Paz, sulle sponde del lago Titicaca.
Consegnato al municipio nel 1960, pare in cambio di un appezzamento di terra, l’archeologo Max Portugal Zamora restaurò il vaso senza peraltro riuscire a decifrare le strane incisioni impresse.
Il manufatto fu poi dimenticato per quarant’anni nei magazzini del “Museo de los metales precioses”.
All’inizio di questo secolo i ricercatori Bernardo Biados e Freddy Arce si misero sulle tracce del misterioso vaso.
Partendo da una sola immagine dell’oggetto, riuscirono a trovare un anziano contadino, tale Maximiliano, che non ebbe difficoltà a identificare la figura con “El plato del chanco”, un contenitore con cui dava solitamente da mangiare ai maiali.
Fuente Magna è un vaso in pietra che reca impresse, all’esterno, delle incisioni zoomorfe in bassorilievo (riconducibili alla mitologia azteca e per certi versi simili alla cultura di Tiahuanaco), raffiguranti pesci e serpenti.
Nell’antichità potrebbe essere stato usato per riti cerimoniali.
All’interno del manufatto c’erano altre incisioni: una figura antropomorfa (forse una rana), una scritta in Quellca (idioma dell’antica Pukara) e una in carattere cuneiforme.
Il prof. Alberto Marini si disse convinto che quella scrittura fosse sumero, mentre l’epigrafista Clyde Ahmed Winters si spinse oltre, asserendo un’origine proto-sahariano per la similitudine con i glifi degli antichi popoli del deserto africano.
Partendo da questa costatazione, lo studioso fornì una sua interpretazione letterale al senso della frase: “Avvicinati nel futuro ad una persona dotata di grande protezione nel nome della grande Nia. Questo oracolo serve alle persone che vogliono raggiungere la purezza e rafforzare il carattere. La Divina Nia diffonderà purezza, serenità, carattere. Usa questo talismano per far germogliare in te saggezza e serenità. Utilizzando il santuario giusto, il sacrario unto, il saggio giura di intraprendere il giusto camino per raggiungere la purezza e il carattere. Oh sacerdote, trova l’unica luce, per tutti coloro che desiderano una vita nobile.”
Nia (Ni-ash/Nammu) era la divinità venerata dai Sumeri, creatrice del cielo e della terra e il bassorilievo all’interno del vaso sarebbe una sua rappresentazione quale simbolo della fertilità.
Secondo il ricercatore Yuri Leveratto, cui va il merito di aver ricostruito le vicissitudini patite dal vaso, il manufatto sarebbe autentico.
Fuente Magna, secondo Biados, testimonierebbe l’arrivo dei Sumeri in Brasile nel III millennio a.C. (circumnavigando l’Africa, in prossimità di Capo Verde sarebbero stati spinti dai venti, senza volerlo, verso ovest), sulle coste di Piauì o di Maranhao: da lì avrebbero esplorato l’interno risalendo per gli affluenti del Rio delle Amazzoni, lasciando tracce tra gli indigeni Colla (che oggi parlano la lingua Aymara, simile al proto-sumerico) prima di giungere fino alle sponde del Titicaca.
Per ora questo incredibile vaso è rimasto fuori dall’attenzione di altri specialisti, primi tra tutti gli archeologi, probabilmente per le implicazioni che potrebbe avere un eventuale avallo.
Immaginare colonie sumere in Sudamerica, addirittura nel 3000 a.C., fa girare la testa anche a noi: in quell’epoca, ci insegnano i libri di scuola, in Bolivia non esistevano nemmeno segni di civiltà e quella di Tiahuanaco si assesta al 1200 a.C.