Col termine Naqada s’intende l’arte che si sviluppò in Egitto nel periodo predinastico (IV millennio a.C.): la fase più antica, quella che va dal 3.800 al 3.500 a.C., è caratterizzata dalle prime raffigurazioni, anche stilizzate, di possibili divinità femminili che rimandano al culto della fertilità.
Alcune di queste incredibili statuite sono oggi conservate al museo di Brooklyn.
Naqada è anche la località in Egitto in cui nel 1896 fu scoperta la splendida tomba di Nithotep o Neithotep, un governante della Prima Dinastia: perlomeno questo pensava l’allora direttore del Servizio per le Antichità, Jacques de Morgan.
Qualche anno dopo disse la sua Sir William Matthew Flinders Petrie, affermando che quel re, in realtà, era una donna. Il sepolcro era così grande e ricco di doni per il viaggio nell’aldilà che doveva trattarsi di una regina, forse consorte di Narmer e madre di Hor-Aha.
Nel sepolcro, una mastaba rettangolare di 53 metri per 26 dotata di mura di cinta, con la camera sepolcrale insolitamente sopra il livello del suolo, furono infatti rinvenuti numerosi oggetti recanti la firma di Hor-Aha, che potrebbe comunque essere un altro appellativo di Narmer (per l’archeologo Gunter Dreyer, Hor-Aha/Narmer si identificherebbe nello stesso Menes), fondatore della Prima Dinastia e artefice dell’unificazione: sarebbe un’altra conferma che Nithotep fosse la moglie.
L’opinione come sempre fuori dal coro di Petrie fu confermata solo cinquant’anni dopo dall’egittologo Walter Bryan Emery, colui che divenne celebre per aver scoperto a Saqqara, negli anni Sessanta del secolo scorso, il recinto degli animali sacri, la necropoli sacra Iseum, ove venivano seppelliti tori mummificati che rappresentavano la divinità Api, identificabile in Osiride: in quella necropoli veniva seppellita anche la madre di Api, Isis, colei che generò il toro sacro (in altre località dell’Egitto furono poi rinvenuti altri recinti consacrati agli animali: gatti, babbuini, falchi, ibis e arieti sacri).
Emery, pur nella difficoltà di collocare cronologicamente una donna nella storia reale egiziana, ipotizzò che la regina, già principessa dell’Alto Egitto, fosse stata la terza sovrana della Prima Dinastia, subito dopo Zer. Facendo un paragone con la tomba del re Narmer (Menes), Emery si stupì della grandiosità di quella dedicata a Nithotep a Naqada.
Gli egittologi sistemarono la faccenda sostenendo che quella di Narmer a Naqada fosse semplicemente un sepolcro secondario, in attesa di scoprire quello ben più prestigioso. Anche se è stato riscontrato che qualche faraone, effettivamente, si fece costruire un paio di sepolcri, rimane il dubbio di come si riuscisse a morire due volte. In realtà, ora come allora, il problema era quello di negare la presenza di una regnante perché ciò metteva in discussione le ‘certezze’ acquisite e scompigliava le cronologie attestate.
Lo stereotipo era che una donna non poteva aver retto le sorti dell’Egitto e nemmeno aver avuto una tomba più bella rispetto a un uomo. Di questa donna faraone, a parte la sicura collocazione temporale in quella dinastia all’inizio del IV millennio a.C., ne sappiamo davvero poco, forse perché nessuno si è prodigato più di tanto per cercare riscontri ritenuti pericolosi.
Nithotep assomiglia dannatamente a un’altra regnante dell’Antico Egitto, Meritnit (“Amata da Nit”), che per l’interpretazione assegnata a una stele e alcuni sigilli rinvenuti in tombe di Abydos e Saqqara, dovrebbe essere la figlia o la moglie del secondo (o terzo) faraone Djer, con più propensione per la seconda ipotesi poiché pare certo che Den fosse il figlio di questo re.
La consorte potrebbe essere assurta alla guida dell’Egitto dopo la morte di Djer, quale reggente in vece del figlio minore. Rimane il dubbio se la tomba di questa regina fosse ad Abydos o a Saqqara, anche se oggi si propende per la seconda ipotesi poiché nelle tombe reali di Abydos non sono state rinvenute sepolture e il luogo potrebbe ospitare solo un cenotafio rituale dedicato a Meritnit.
Il sepolcro di Nithotep, curiosamente, si trova all’interno di una necropoli al servizio della vicina Nubt, la città consacrata al culto di Set.
Il culto riservato a questa divinità, antagonista di Osiride, si perde nel profondo del deserto dell’Alto Egitto ed è il primo praticato nella terra dei faraoni. Per come l’hanno tramandato i sacerdoti di Menfi, Set era il dio del caos, raffigurato con corpo umano e testa di sciacallo, con forti connotazioni negative e in naturale contrapposizione a Osiride.
La consorte di Set era la sorella Nefti ed entrambe le divinità, secondo uno dei racconti mitologici, facevano parte dell’Enneade di Eliopoli. Nefti, dea dell’oltretomba ma anche del parto, avrebbe infine aiutato la sorella Iside a recuperare i pezzi smembrati del corpo di Osiride.
Forse per questa ragione le due dee vennero poi associate tra loro, ma ancor più sorprendente fu l’identificazione di Nefti, seppur tarda, con la dea Nit, senza tralasciare il fatto che Nit, per alcuni studiosi, sarebbe da paragonare anche alla dea punica Tanit, e per altri (certamente meno prudenti) alla dea ellenica Atena.
Ecco quindi un altro indizio che ci permette di identificare Nithotep non solo come moglie o madre di un governante, bensì come sacerdotessa consacrata a Nit/Nefti: non per niente il sacrario di Nithotep si trovava nella città in cui si praticava il culto di Set.
Set originariamente era indicato come dio benefico, associato al regno dei morti ma, dal momento della riunificazione dell’Egitto, perse gran parte della sua notorietà in favore di Horus, figlio di Osiride, anche se troviamo ancora il suo nome abbinato a qualche regnante della II dinastia.
L’invasione dell’Egitto nel XVII secolo a.C. da parte di popolazioni nomadi semite, gli Hyksos (così passati alla storia per le cronache di Manetone, potrebbero provenire dalla Palestina, se non essere gli stessi Hurriti; si discute anche di una loro possibile origine indoeuropea) riportò in auge Set perché a quei nuovi regnanti della XV dinastia parve di riconoscere in quella figura il dio urrita della tempesta Teshub.
Nel corso della XIX dinastia rinveniamo la presenza del culto di Set nelle titolature reali di Seti I e Seti II. Il faraone Kamose impose la fine del dominio degli stranieri e da quel frangente Set tornò ad essere, ancor di più, la divinità malvagia che ci è stata tramandata.
Ma ad Avaris, la capitale che gli Hyksos avevano fondato nel delta del Nilo, questi non mancarono di costruire un tempio dedicato proprio a Set: una delle poche tracce che sfuggì alla distruzione degli egiziani, nel tentativo di cancellare la triste parentesi degli invasori.
Set e Nit/Nefti, pur essendo divinità della prima ora nella preistoria d’Egitto, furono lentamente scalzati da Osiride/Horus e Iside, per certi versi straordinariamente similari nelle attribuzioni e, come già accennato, con una storia comune che partendo dal Paleolitico attraverserà migliaia di secoli, prima di giungere ai giorni nostri.
La stessa sorte toccò ad alcune donne come Nithotep, che ebbero il privilegio di governare nella terra delle piramidi; fare un elenco esaustivo delle altre donne regnanti d’Egitto è difficile, ma tra queste ricordiamo Nitocris (VI dinastia), Sobekneferu (XII), Ahhotep I, Nefertari e Hatshepsut (XVIII), Tauosre (XIX) e Cleopatra VII (XXXIII).
Sacerdotesse della dea Nit che ancor oggi faticano ad affermarsi in quelle dinastie di soli uomini, stilate da chissà chi con l’intento di soffocare il principio femminino.