Il 20 gennaio 2025 Donald Trump, nel suo discorso d’insediamento, fra le altre cose aveva promesso che gli Stati Uniti si sarebbero ripresi il Canale di Panama: «Il canale di Panama è stato stupidamente dato al paese di Panama dopo che gli Stati Uniti – gli Stati Uniti, pensateci – hanno speso più soldi di quanti ne abbiano mai spesi prima per un progetto e hanno perso 38.000 vite nella costruzione del Canale. E soprattutto, la Cina sta gestendo il Canale di Panama. E non l’abbiamo dato alla Cina. L’abbiamo dato a Panama e ce lo riprenderemo».
La promessa pare sia stata mantenuta, anche se per vie traverse. Infatti, BlackRock, la maggior società d’investimento al mondo, in consorzio con Global Infrastructure Partners e Terminal Investment Ltd, ha raggiunto in questi giorni un accordo preliminare con la Hong Kong CK Hutchison Holdings, per rilevare il 90% della Panama Ports Company, la società che gestisce i principali porti del canale: quello di Balboa, all’imbocco nell’Oceano Pacifico e quello di Cristobal nell’Oceano Atlantico.
In realtà, come osserva la giornalista investigativa Laura Ruggeri, l’accordo tra le parti è ben più ampio: il consorzio guidato da BlackRock, mettendo sul piatto 23 miliardi di dollari, acquisirà il controllo di 43 porti in 23 paesi, tra cui Messico, Paesi Bassi, Egitto, Australia e Pakistan.
Panama aveva ceduto, nel 1997, il controllo dei due porti e quindi del canale alla Hong Kong CK Hutchison Holdings, rinnovando quattro anni fa la concessione fino al 2047.
In Yenkee Go Home! ho dedicato alcune pagine alla controversa storia del Canale di Panama, che vale ora la pena rileggere.
Nel 1901, dopo l’uccisione del presidente McKinley, il suo posto fu preso dal vice Theodore Roosevelt, che resse lo scranno per due mandati fino al 1908.
L’ingerenza e le mire espansionistiche degli Stati Uniti proseguirono, riesumando il progetto francese di costruire un canale attraverso Panama, che fungesse da collegamento tra i due oceani.
Per questo, nel 1903, poiché la Colombia non aveva ancora concesso il permesso per iniziare i lavori, Roosevelt favorì con l’elargizione di sessanta milioni di dollari un movimento secessionistico di Panama dalla Colombia; con la protezione della flotta da guerra statunitense, Panama riuscì nell’intento, diventando una repubblica indipendente sotto tutela americana.
Roosevelt concesse venticinque milioni alla Colombia per tacitarla e quaranta alla compagnia francese per il taglio dell’istmo.
Il primo atto legislativo del nuovo Stato, cioè una giunta militare, guarda un po’ fu quello di concedere agli Stati Uniti, in affitto perpetuo, il lembo di terra necessario per realizzare l’agognato canale, che fu inaugurato il 3 agosto 1914.
Eppure, le successive manifestazioni antiamericane promosse dai panamensi, costrinsero gli Stati Uniti a far intervenire l’esercito più volte, tra il 1918 e il 1925, per tutelare i propri interessi economici e strategici.
L’esportazione della libertà e della democrazia, anche in questo, non c’entrava davvero niente.
Ma l’idea di realizzare un canale interoceanico risaliva addirittura al 1849, quando gli Stati Uniti firmarono un trattato col Nicaragua che prevedeva la possibilità di scavare in quel territorio. Non se ne fece mai nulla, anche perché quella zona era vulcanica: una società americana, la Panama Railroad Company, si accontentò di ottenere una concessione per costruire una ferrovia che collegasse Colòn, nel Mare delle Antille, a Panama. I lavori, che terminarono sei anni dopo, precludevano a tutti, per una clausola inserita nel contratto, la possibilità di costruire un canale vicino al percorso ferroviario.
Tuttavia, Ferdinando de Lesseps, artefice del canale di Suez nel 1869, stava già organizzando una società con capitale francese per scavare un canale anche a Panama.
Dopo aver acquistato la compagnia ferroviaria americana per cento milioni di franchi, il gruppo finanziario da lui creato nel 1880 iniziò a scavare l’istmo, ma i rusultati si rivelarono tragici: malaria e febbre gialla decimarono le manovalanze, mentre i costi sempre maggiori che il progetto richiedeva, fecero fallire la società nel 1887. Non prima di aver bruciato un miliardo di franchi dei sottoscrittori di azioni e obbligazioni e sperperato un prestito a premio milionario promosso dal governo francese, corrompendo centocinquanta deputati del parlamento.
Lo scandalo fu enorme e le responsabilità penali nei confronti di una decina di persone, compreso il ministro dei lavori pubblici francese, furono accertate in un paio di processi per truffa e corruzione nel 1893. La maggior parte dei parlamentari incolpati non si presentò nemmeno nelle aule giudiziarie; essi si resero addirittura irreperibili, prima di essere assolti.
Il passaggio di consegne procurò problemi anche agli Stati Uniti, che, per costruire quel grandioso canale lungo novanta chilometri, con un sistema di chiuse che attraversava la Cordigliera, spesero in tutto quattrocento milioni di dollari.
Un giornale americano facente capo all’editore Pulizer rivelò all’opinione pubblica, nel 1909, la corresponsione fraudolenta di quaranta milioni di dollari (forniti dal faccendiere John Pierpont Morgan) da parte degli Stati Uniti alla French Panama Canal Company, con l’intermediazione del lobbista francese Philippe Banua-Varilla.
Ma a muovere per primo tutti i fili del teatrino fu l’avvocato William Nelson Cromwell, un esperto in società fallimentari, che con il suo studio Sullivan &Cronwell di Wall Street riuscì a convincere i membri della Isthmian Canal Commission a offrire l’ingente somma per acquisire i diritti della società francese, anche se la concessione garantita dalla Colombia sarebbe scaduta nel giro di due anni.
Cromwell fu quindi promotore, nel 1899, della Panama Canal Company of America, tra i cui sottoscrittori, a parte Morgan, c’erano i più influenti magnati della finanza americana, per esempio Kuhn, Loeb & Co., ma anche personaggi molto vicini all’ambiente di Washington, come Douglas Robinson, cognato di Roosevelt, e Henry Taft, fratello del Segretario alla Guerra (e in seguito Presidente) William Taft.
La società rastrellò a prezzo stracciato tutte le quote azionarie della fallimentare Compagnie Nouvelle, con l’intento di venderle agli Stati Uniti per quaranta milioni di dollari, in quella che poteva essere considerata, a tutti gli effetti, una speculazione operata da un cartello monopolistico.
Tra voltafaccia, colpi di scena e intrallazzi politici, alla fine i piani rivoluzionari per ottenere l’indipendenza di Panama dalla Colombia, furono assegnati ai dipendenti della Panama Roilroad Company, la società americana che già operava sul posto, in combutta con il movimento indipendentista. A occuparsi della grossa transazione economica fra Stati Uniti, Panama e la Compagnie Nouvelle, intervennero naturalmente Cronwell e J.P. Morgan, autorizzati in tal senso dal Segretario del Tesoro americano.
In realtà, quella cifra era stata regolarmente autorizzata dal Congresso il 19 giugno 1902, anche se Roosevelt aveva taciuto al consesso tutta la procedura sottobanco, rivendicando in seguito l’iniziativa personale tesa ad accelerare, a suo dire, la realizzazione dell’opera.
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