La spia sovietica Martin Bormann

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Martin Bormann fu nominato nel 1933, dallo stesso Hitler, capo della segreteria di Rudolf Hess, all’epoca il naturale sostituto del Führer. Quando Hess nel 1941 volò in Scozia, per una missione di pace ancor oggi contornata da oscuri risvolti, Bormann divenne capo della Cancelleria e membro del Consiglio di difesa del Reich e del governo.

Il luogotenente del Führer amministrava da tempo le entrate derivanti dalle vendite del Mein Kampf e si occupava anche delle sue proprietà: dal luglio 1943 Hitler, che si fidava ciecamente di lui, lo premiò nominandolo segretario personale.

Poco prima che la guerra terminasse, Bormann, tra i gerarchi nazisti, fu quello che consolidò più degli altri i propri investimenti all’estero – utilizzando anche il denaro confiscato agli ebrei -, non solo in Svizzera e in Argentina, ma anche in America, con l’acquisizione di pacchetti azionari, come dimostrano le giacenze dei conti correnti accesi presso istituti di credito americani.

Nl frattempo egli volle fortemente un’organizzazione clandestina, che sarebbe sorta già alla fine del 1943, raggruppando ai vertici poche decine di gerarchi nazisti. Il gruppo segreto denominato Hacke (un nome di fantasia attribuito dall’informatore Sniper), secondo le confidenze raccolte all’epoca dai servizi segreti americani, era strutturato in rami distinti, che disponevano di alcune ‘stazioni’ all’estero (Spagna, Portogallo, Argentina, Paraguay, Uruguay, Giappone e Italia) per favorire il movimento di beni e persone.

Dall’inizio del 1946 Rodolfo Freude, direttore della Division de Informaciones (il servizio segreto argentino), avrebbe finanziato interamente questo movimento, grazie al denaro accumulato dal padre Ludwing su precise indicazioni fornitegli da Bormann poco prima della fine della guerra.

Il segretario del Partito Nazionalsocialista è stato tacciato di essere una spia al soldo dei russi, come spiega il professor Antonio Teti, docente di Cyber Espionage, Cyber Counterintelligence e Cyber Intelligence in numerose università: «In un documento “declassificato” della Central Intelligence Agency (CIA), datato 12 settembre 1971, si fa riferimento ad un articolo pubblicato su un quotidiano dell’epoca in cui l’ex generale della Wehrmacht, Reinhard Gehlen, uno dei più autorevoli esperti di intelligence a livello mondiale, nonché capo dei servizi segreti tedeschi sul fronte orientale durante la Seconda Guerra Mondiale, afferma, con assoluta sicurezza, che Bormann fuggì a Mosca all’inizio del maggio del ’45. Anche il giornalista e scrittore Louis Kilzer, sostiene la stessa tesi… nel suo libro “Hitler’s Traitor” (2000), asserisce che in base ad approfondite analisi condotte su una fitta corrispondenza intercorsa tra una spia all’interno dell’establishment nazista e Mosca, sia arrivato a una inequivocabile conclusione: solo Martin Bormann poteva avere accesso ai documenti cui facevano riferimento i messaggi trasmessi ai sovietici, pertanto era lui la spia, meglio conosciuta con il nome di “Werther”, che si annidava all’interno dello strettissimo entourage di Adolf Hitler… La spia Werther fornì ai sovietici informazioni preziosissime e quasi immediate sui piani militari tedeschi, alle volte ancor prima che gli stessi comandanti delle armate ne fossero entrati in possesso. Un elemento che conferma il fatto che la spia apparteneva alla cerchia ristretta di Hitler».

Il giornalista investigativo Louis Kilzer, nel suo Hitler’s Traitor: Martin Bormann and the Defeat of the Reich (Presidio Press, 2000), sostiene, infatti, che la sconfitta della Germania fosse stata propiziata dalla rete di spie dell’Orchestra Rossa, penetrata nell’alto comando tedesco. Secondo l’autore, Martin Bormann e Heinrich Müller (capo della Gestapo, che nel 1943 andò in contrasto con Heinrich Himmler, divenendo seguace del principale rivale di questi, Martin Bormann), furono entrambi agenti sovietici, anche se continuano a sussistere insanabili carenze per ciò che concerne il movente che avrebbe spinto entrambi al tradimento.

Resta il fatto, emblematico per questa discussione, che Bormann, come argutamente rileva il giornalista Jean-Paul Picaper, fu molto probabilmente «l’unico gerarca nazista ad aver letto Il capitale di Marx e ad aver sfogliato i testi di Lenin».

Le speculazioni di Kilzer, certamente suffragate da prove documentali non del tutto sufficienti, partono dal presupposto che Bormann, oltre ad avere l’autorità di emettere ordini in nome di Hitler, aveva accesso illimitato ai verbali delle riunioni militari, perlomeno dal 1942, quando i suoi stenografi iniziarono a trascrivere il contenuto degli incontri dell’Alto Comando della Wehrmacht.

Le informazioni raccolte da Bormann, relative alle operazioni pianificate sul fronte orientale, sarebbero state tempestivamente trasmesse a Mosca tramite l’anello di congiunzione berlinese denominato “Lucy”, gestito dall’editore e giornalista Rudolf Roessler, una spia che da Lucerna operava nella rete sovietica Rote Drei, l’Orchestra Rossa, capitanata da Sándor Radó, un’altra spia che in codice si faceva chiamare Dora, l’anagramma del suo cognome.

Il gruppo di Radó fu neutralizzato nell’autunno del 1943, con l’intervento del Bundespolizei, la Polizia Federale svizzera.

Il reclutamento degli agenti e la realizzazione delle cellule clandestine di spionaggio in Europa, erano operazioni gestite generalmente da Leopold Trepper, un’agente dell’intelligence militare sovietica (GRU). Le reti erano coordinate da Mosca, sotto la responsabilità del capitano dell’Armata Rossa Maria Josefovna Poliakova, nome in codice “Gisela”.

Louis Kilzer però, come sostiene John I. Witmer, in definitiva non è stato in grado di dimostrare come “Werther” sia riuscito a comunicare così ampiamente con Lucy per un periodo di anni senza essere scoperto. C’è anche chi ha sostenuto che le informazioni raccolte da Roessler provenissero in realtà dall’MI6, il servizio di informazioni per l’estero del Regno Unito, che girava i messaggi crittografati dal sistema “Enigma” e decifrati da “Ultra” ad Alexander Allan Foote, un operatore radiofonico che lavorava per Roessler. Foote sarebbe stato quindi una spia del servizio segreto britannico, sospettato comunque nel dopoguerra di passare informazioni anche ai russi. Per tale ragione, il suo libro di memorie Handbook for Spies del 1954, pubblicato due anni prima di morire, non è generalmente considerato genuino.

Dopo la guerra, a  Radó scappò detto che le fonti da cui lui e Roessler attingevano erano semplicemente strisce di carta perforata che reperivano, tramite un agente di Roessler, dalle operatrici di telescrivente impiegate dal centro comunicazioni dell’OKW: si trattava di nastri destinati alla distruzione, riferiti a migliaia di messaggi segretissimi e rapporti speciali, all’epoca non ancora codificati poiché la linea telefonica era ritenuta sicura. In tal caso, gli informatori della rete spionistica, compreso il misterioso Werther, non sarebbero nemmeno mai esistiti. In realtà, e qui il cerchio sembra chiudersi del tutto, Roessler, morto nel 1958, dal canto suo non rivelò mai la fonte da cui veramente attingeva le incredibili notizie.

Queste informazioni militari così dettagliate (notizie strategiche e tattiche su forza, disposizione e movimento dell’esercito tedesco), potrebbero essere state decisive, assieme ai depistaggi operati da Max, per le sconfitte patite dalla Wehrmacht nel 1942 a Stalingrado e nel 1943 a Kursk.

Per quel che concerne il nome in codice “Werther”, il giornalista von Sven Felix Kellerhoff asserì che probabilmente «era collegato al lavoro giovanile di Goethe, ma non si sapeva nulla del background. Alcuni autori considerarono “Werther” un impiegato dell’Alto Comando della Wehrmacht (OKW), altri una fonte artificiale in cui diversi informatori sono stati raggruppati per motivi di mimetizzazione». Ma Sándor Radó sentenziò nelle sue memorie che lo pseudonimo fu da lui inventato nel dicembre 1942 e rispondeva a un criterio mnemonico, che stava per Wehrmacht: «La supposizione che in questo caso si trattasse di un ufficiale di stato maggiore studioso del capolavoro di Goethe “La sofferenza del giovane Werther” è assolutamente fantasiosa».

Reinhard Gehlen, responsabile del servizio federale di informazioni BND (Bundesnachrichtendienst), originato dall’Organizzazione Gehlen, nelle sue memorie riferisce esplicitamente che sia lui sia Canaris sospettavano da tempo che fosse proprio Bormann la fonte di informazioni all’interno del Comando Supremo tedesco: «I nostri sospetti ricevettero una significativa conferma quando, ciascuno per conto proprio, scoprimmo che Bormann e il suo gruppo disponevano di una rete di radiotrasmittenti senza fili sulla quale non veniva esercitato alcun controllo, e che se ne servivano per inviare messaggi in codice a Mosca. Quando il monitoraggio dell’OKW scoprì la cosa, Canaris sollecitò un’indagine, ma per tutta risposta si sentì dire che Hitler in persona aveva energicamente vietato ogni intervento: Bormann lo aveva già informato a proposito di questi Funkspiele, o falsi messaggi radio, ed egli aveva dato la sua approvazione».

Gehlen era perentoriamente convinto che Bormann «fu il più importante informatore e consigliere di Mosca fin dal momento in cui ebbe inizio la campagna di Russia. […] Egli si consegnò ai russi nel maggio del 1945, e da essi fu poi riportato nell’Unione Sovietica».

Gehlen basava le sue fermezze su «certe informazioni» di cui venne in possesso quand’era a capo dell’Organizzazione Gehlen: «ricevetti prove inconfutabili sui suoi movimenti dopo la fine della guerra. Negli anni ’50 agenti che operavano al di là dalla Cortina di Ferro mi fecero pervenire due rapporti diversi dai quali risultava che Bormann era stato un agente sovietico, che dopo la guerra aveva vissuto nell’Unione Sovietica perfettamente mimetizzato da consigliere del governo di Mosca e che nel frattempo era morto».

La posizione degli informatori di Gehlen, che all’inizio degli anni Settanta erano ancora vivi, impediva all’ex generale della Wehrmacht di rivelare all’epoca ulteriori particolari sulla spinosa vicenda. Che a questo punto, con la sua morte sopraggiunta nel 1979, non conosceremo più.

La versione fornita da Gehlen, secondo il giornalista Edward H. Cookridge (pseudonimo di Edward Spiro, ex membro dei servizi segreti britannici), fu solo un espediente per pubblicizzare il libro contenente le sue memorie: l’ex generale della Wehrmacht sarebbe stato informato nel 1953 da Dulles della CIA circa le dichiarazioni rilasciate all’epoca da Werner Naumann, appena arrestato dagli inglesi poiché accusato con altri nazisti di voler ricostruire in Germania un regime dittatoriale della stessa indole. Naumann, che era nel gruppo di ufficiali che lasciò la Cancelleria il 1° maggio 1945, riferì, infatti, che in quella circostanza «Bormann venne salvato dai russi. Egli era una spia sovietica e deve aver predisposto in anticipo dove incontrarsi con le avanguardie dell’Armata Rossa».

Cookridge annota quindi che probabilmente è questa la vera fonte da cui Gehlen trasse spunto per la sua fantasiosa ricostruzione dei fatti.

Gian Franco Vené, in un vecchio fascicolo di Storia Illustrata, rivelava invece che Bormann, dopo la fuga dal Führerbunker, raggiunse un altro nascondiglio non molto lontano, quello di Adolf Eichmann: «Bormann è stato informato dell’esistenza del rifugio dal capo della Gestapo, Mueller, che si nasconde insieme ad Eichmann».

Da lì egli sarebbe stato tratto in salvo, secondo la versione dello storico Ladislas Farago (sulla scorta anche di alcuni documenti della polizia segreta argentina, giudicati autentici, fornitigli da tal Velasco, emissario del controspionaggio), da due sacerdoti inviati dal vescovo Alois Hudal. L’inchiesta di Farago fu pubblicata dal quotidiano London Daily Express il 25 novembre 1972.

Il Tribunale Speciale Militare di Norimberga condannò in contumacia Bormann per crimini di guerra e contro l’umanità, nonostante il suo difensore tentasse invano di persuadere i giudici che il suo assistito era morto poco dopo la fuga dal bunker.

Malgrado alcune testimonianze avvalorino una possibile fuga o prigionia di Bormann in Russia, per esempio quelle di Reinhard Gehlen, Adolf Eichmann e l’autista di Hitler Albert Bormann (il fratello di Martin), è molto probabile che il segretario di Hitler abbia terminato i suoi giorni il 2 maggio 1945 nei pressi del ponte sulla Sprea, il fiume di Brandeburgo su cui fu edificato nel 1961 anche un tratto del Muro di Berlino. Secondo le ricostruzioni, con Bormann c’era anche il tenente colonnello delle SS Ludwig Stumpfegger, medico personale di Hitler. I loro cadaveri furono rinvenuti qualche giorno dopo nelle vicinanze del ponte ferroviario di Lehrter Banhof e successivamente bruciati e seppelliti su ordine dei soldati russi. Sul corpo del dottore fu trovato un libretto militare o un lasciapassare a lui sicuramente riconducibile.

Le dichiarazioni degli altri fuggitivi dal bunker di Berlino furono unanimi nell’indicare che i due si trovavano assieme in quel frangente, per cui l’altro corpo doveva per forza essere quello di Martin Bormann, anche sulla scorta della ricostruzione facciale eseguita nel 1973, come rivelato dal giornalista Jochen von Lang in un libro pubblicato nel 1979.

Ma si dovrà attendere ancora più di vent’anni per avere la conferma dell’identità, con l’esame del DNA eseguito nel 1998 su dei resti disseppelliti, come ricorda il cronista Robert Booth sul The Guardian nel 2009: «Il DNA prelevato dai resti di un corpo trovato vicino a dove Bormann fu visto mentre cercava di scappare quando l’Armata Rossa invase Berlino nel maggio 1945, confermò che morì lì. Un test su un teschio che si ipotizzò essere di Bormann nel 1998 ha trovato i resti compatibili con quelli di suo figlio e il mistero era finito. Era morto poche ore dopo Hitler e le sue avventure dal Tibet al Sud America attraverso il Nord Africa non erano altro che storie di spionaggio».

 

Hai letto un estratto dai libri Le finanze occulte del Führer” (Aurora Boreale Edizioni, 2023) eLe spie naziste degli Stati Uniti” (Idrovolante Edizioni, 2023).

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