Andrew Mellon, il potente banchiere d’America

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Le cronache di questi giorni si sono spesso interessate di Timothy Mellon, un miliardario di ottantuno anni che sta sostenendo la campagna elettorale di Donald Trump. A dirla tutta, egli è risultato il maggior donatore del candidato repubblicano, con più di cento milioni di dollari destinati ai suoi comitati per l’azione politica (PAC – Political Action Committee), le organizzazioni che raccolgono i finanziamenti. Le somme ingenti, in realtà, vengono convogliate nei cosiddetti Super PAC, che sulla carta non devono avere legami diretti con i candidati, ma in compenso non hanno limiti di raccolta e non devono dichiarare la provenienza dei fondi.

Timothy Mellon è il nipote di Andrew William Mellon, di cui mi occupo oggi in questo articolo.

La famiglia Mellon, secondo Dale Richard Perelman, fece fortuna alla fine del XIX secolo con l’acquisto di azioni della Pittsburgh Reduction Company, che trasferì poi i suoi impianti su un terreno di proprietà dei fratelli Mellon a New Kensington: fu allora che Andrew Mellon si unì al consiglio d’amministrazione, assumento in seguito la carica di tesoriere e presidente in quella che divenne nel 1907 l’Aluminium Corporation of America (Alcoa).

Il banchiere e industriale Andrew Mellon ricoprì la carica di segretario di Stato al Tesoro degli Stati Uniti dal 1921 al 1932, durante la reggenza di tre diversi presidenti repubblicani (Warren Gamaliel Harding, Calvin Coolidge e Herbert Hoover).

Lo storico Mario Francini così lo descrive: «Mellon, sulla cui competenza non potevano esserci dubbi, era il ricchissimo fondatore e presidente della Mellon National Bank e tycoon del trust dell’alluminio. Un economista di formazione democratica come J. K. Galbraith scrive: “Aumentarono rapidamente i profitti e il reddito dei ricchi e degli agiati. La tendenza fu favorita dai tenaci e felici sforzi del segretario del Tesoro, Andrew W. Mellon, per ridurre le tasse sul reddito, con particolare sollecitudine per i contribuenti più forti”».

Giovanni Borgognone, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Torino, rincara la dose: «Il ministro del Tesoro Andrew William Mellon, uno degli uomini più ricchi d’America, grande oppositore di ogni forma di tassazione progressiva; secondo Mellon, anche i lavoratori dovevano comprendere la necessità di una politica di agevolazioni fiscali per gli strati benestanti della società, perché solo così sarebbero stati possibili maggiori investimenti e posti di lavoro e i prezzi sarebbero diminuiti (i critici di questa posizione la descrivevano come “la teoria del far mangiare i passeri ingrassando i cavalli”)».

Per la carica rivestiva, Mellon assunse per legge anche la presidenza della Federal Reserve Board (il Consiglio centrale della Federal Reserve nominato dal governo), principale organo del Federal Reserve System, che sovrintende alle dodici banche regionali della Federal Reserve e contribuisce all’attuazione della politica monetaria degli Stati Uniti. La Federal Reserve Board nacque nel 1913, quando durante la presidenza di Thomas Woodrow Wilson fu approvata la Federal Reserve Act, una legge voluta fortemente dal senatore Nelson Wilmarth Aldrich, uno dei quattro politici americani della sua epoca in grado di influenzare tutte le decisioni del Senato.

L’influenza di Mellon nella politica statale e nazionale fu notevole e raggiunse l’apice durante la presidenza di Coolidge dal 1923 al 1929. Fu eletto con l’amministrazione di Warren Gamaliel Harding, poiché la Mellon National Bank aveva contribuito con un prestito di un milione e mezzo di dollari alla sua campagna elettorale.

Mellon controllava una rete di novantanove banche e aveva interessi in quasi tutti i settori industriali (carbone, acciaio, prodotti chimici, petrolio, vagoni letto, ferrovie, edilizia, servizi pubblici, eccetera): le due attività s’intrecciavano chiaramente fra loro, creando col tempo un vero e proprio impero economico. Tra le aziende fondate e gestite direttamente dalla banca di Mellon, c’erano Alcoa, Gulf Oil, Westinghouse (ora CBS Corporation e Siemens), Rockwell, mentre tra quelle pesantemente finanziate ricorderemo U.S. Steel, Heinz, General Motors, Koppers e Standard Oil.

Il fratello, Richard Beatty Mellon, fu presidente di Alcoa dal 1989 al 1910 e assunse la carica di presidente della Mellon Bank nel 1921, quando Andrew fu eletto segretario del Tesoro.

Per dare un’idea dell’egemonia raggiunta da Mellon, può servire quanto scrive lo storico Ron Chernow: il 25 maggio 1921 il presidente Harding convocò Tom Lamont e gli altri banchieri di Wall Street, imponendo loro che da quel momento «tutti i prestiti stranieri dovevano essere certificati dai dipartimenti dello Stato, del Tesoro e del Commercio come nell’interesse nazionale. I segretari in questione – Charles Evans Hughes, Andrew Mellon e Hoover – erano lì per sostenerlo. Morgan ha dovuto informare le altre banche dell’accordo. Successivamente, come portavoce delle influenti banche private e società fiduciarie, Jack Morgan [JP Morgan, N.d.A.] ha promesso a Harding che i banchieri “terranno il Dipartimento di Stato pienamente informato di tutte le negoziazioni per prestiti a governi stranieri che potrebbero essere intraprese da loro”».

Ho già raccontato qui la storia di Harry Jacob Anslinger, ispettore del Bureau of Prohibition, che aveva sposato la nipote di Mellon.

Nel settore petrolifero Mellon fece una dura concorrenza anche alla Standard Oil di John Davison Rockefeller, poiché deteneva il pacchetto di maggioranza della Gulf Oil, che era per importanza la seconda compagnia.

Il giornalista Matt Stoller ha tratteggiato, tra le tante, anche la figura di Mellon: «Era un uomo duro, un banchiere, un imperatore di denaro, un proprietario di diverse compagnie… La nomina di Mellon era probabilmente illegale. Uno statuto del 1789 proibiva al segretario al tesoro di impegnarsi nel commercio, una cosa assurda per un uomo con tale potere industriale. I fondatori avevano anche scritto una legge che vietava al segretario al tesoro di detenere titoli bancari. Mellon ha superato queste restrizioni legali fingendo di vendere i suoi beni a suo fratello [Richard King Mellon, N.d.A.]. Le regole esistevano per una buona ragione: un uomo vestito di potere pubblico non dovrebbe usare quel potere per fini privati, sebbene Mellon lo abbia fatto esattamente durante gli anni ‘20… Mellon non ha mai avuto tanto controllo sul sistema finanziario privato e sull’industria come l’anziano Morgan. Tuttavia, dopo la sua nomina a segretario al tesoro, Mellon aveva una fonte di potere che Morgan non ha mai avuto: un grande stato amministrativo, e in quella differenza stava il suo potere. Mellon, più che Morgan, avrebbe fuso governo e affari per rendere il mondo sicuro per i monopolisti. Durante gli anni 1920, Mellon gestì il dipartimento del Tesoro, stabilì la politica fiscale e del debito pubblico e sedette come presidente della Federal Reserve».

Il segretario del Tesoro Mellon fu costretto infine a dimettersi nel 1932, dopo ben undici anni che ricopriva l’incarico, per i legami commerciali impropri che teneva e soprattutto per un procedimento di impeachment a suo carico. Infatti era all’epoca il più potente banchiere privato in America e contemporaneamente ricopriva l’ufficio pubblico più potente degli Stati Uniti. Le accuse nei suoi confronti furono diverse: con l’incarico di segretario al tesoro e quindi capo dell’Ufficio delle entrate interne, aveva concesso rimborsi fiscali alle proprie società; deteneva titoli bancari mentre era presidente della Federal Reserve; possedeva una grande distilleria mentre applicava il proibizionismo e commerciava illegalmente con l’Unione Sovietica; gestiva i propri affari presso il Dipartimento del Tesoro e aveva mantenuto il controllo, se non la proprietà formale, in oltre trecento società impegnate nel commercio globale.

Verso la fine del suo mandato, alcuni senatori si accorsero che Mellon stava verificando le concessioni petrolifere dal governo colombiano per creare un sindacato tra la sua compagnia Gulf Oil e JP Morgan. Il progetto era ben avviato, dato che Victor Schoepperle, vicepresidente della National City Bank e responsabile dei prestiti in America Latina, aveva autorizzato mutui alla Colombia dopo che il governo aveva firmato la concessione petrolifera alla Gulf Oil di Mellon.

Il presidente Hoover lo nominò subito ambasciatore in Gran Bretagna, per tenerlo alla larga ed evitare lo scandalo.

Il giornalista Firlo W. Carr annota che Andrew William Mellon, alla sua morte, nel 1937, «aveva accumulato una fortuna superiore a $ 280 milioni, oltre $ 4 miliardi in dollari di oggi, in aumento da $ 50 milioni all’inizio del secolo – ricchezza creata in modi che suo padre non aveva mai considerato».

Hai letto un estratto del libro “Le finanze occulte del Führer”, Edizioni Aurora Boreale, ottobre 2023.

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