Reinhard Gehlen, nome in codice “Rusty”

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Il 26 agosto 1945, un Douglas DC-3 dell’esercito americano faceva rotta verso Washington. Ce n’erano tanti all’epoca, che volavano su e giù per i cieli dall’Europa all’America, ma quello non era un aeroplano qualsiasi. Si trattava, infatti, del velivolo in uso al generale Walter Bedell Smith, capo di Stato Maggiore di Dwight David Eisenhower, già comandante delle forze Alleate impegnate nel Mediterraneo e poi di quelle sul continente europeo.

La guerra era ormai finita e del Terzo Reich rimaneva solo un mucchio di macerie, con migliaia di soldati tedeschi che, dopo aver servito invano la patria (soprattutto per i vaneggiamenti del Führer), erano ora allo sbando, molti addirittura ricercati come criminali di guerra.

Sull’aereo di Smith, quel giorno, non c’era solo lui, ma anche Reinhard Gehlen, un generale della Wehrmacht che il 1° aprile 1942 Hitler, su proposta del capo di Stato Maggiore dell’Esercito generale Franz Halder, aveva designato responsabile del Fremde Heere Ost (FHO, “Armate Straniere Est”), la sezione dell’Abwehr – il servizio segreto dell’esercito – che si occupava di raccogliere informazioni sul fronte orientale.

Assieme a Gehlen c’erano almeno quattro suoi collaboratori, cioè i migliori ufficiali del suo ex stato maggiore.

Tre mesi prima, il 22 maggio 1945, si erano consegnati tutti agli americani, dopo aver trascorso qualche settimana alla macchia sulle montagne della Baviera.

Gehlen sapeva, infatti, sulla scorta dei piani degli alleati, di cui evidentemente era a conoscenza, che la Germania meridionale sarebbe stata assegnata agli americani come zona d’occupazione. Per questo fece ripiegare lì i suoi uomini, che furono invitati ad abbandonare il quartier generale dello Stato Maggiore dell’Esercito.

Già da qualche tempo, Gehlen aveva fatto microfilmare gli archivi del FHO, sigillando le pellicole in tubi d’acciaio a tenuta stagna che aveva poi seppellito segretamente, e in luoghi diversi, tra le Alpi austriache.

La documentazione, così custodita anche all’interno di cinquanta bauli d’acciaio, comprendeva copia di schede, rapporti, riprese aeree, monografie e carte topografiche.

Il giornalista Jean-Paul Picaper ricostruisce così gli accadimenti di quei giorni: «Alla fine del conflitto, [Gehlen, N.d.A.] divise i membri della sua squadra in tre gruppi e ordinò di non rivelare nulla se fossero stati fatti prigionieri, salvo se avessero ricevuto un ordine scritto da lui. Quando i carri armati americani entrarono in Baviera, Gehlen si era acquartierato con diversi ufficiali […] in un rifugio di montagna […]. Un giorno, sui pascoli comparve una compagnia americana che crivellò il rifugio a colpi di mitra. Il giorno seguente, Gehlen decise di arrendersi e si presentò dagli americani con il proprio foglio matricolare autentico, su cui erano indicati il grado di generale di stato maggiore e le attività svolte nella Wehrmacht. Né impressionati né interessati, gli ufficiali che lo interrogarono spedirono l’intera combriccola in un campo di prigionia. Gehlen attese per mesi, fino a quando un ufficiale americano, il generale Edwin Sibert, fu informato della sua identità e lo prese sotto la sua protezione […]. Dopo lunghi colloqui, Gehlen rivelò a Sibert dove fossero nascosti gli archivi, che il capitano John Bocker andò a recuperare. Gehlen fornì anche i nomi dei suoi collaboratori, prigionieri in diversi campi. Sibert si rivolse direttamente al Pentagono, così da aggirare Eisenhower, che aveva vietato di fraternizzare in qualsiasi modo con i tedeschi, proprio come il suo collega francese Koenig».

Non era stato quindi per niente facile, per Gehlen, far comprendere agli ufficiali statunitensi della polizia militare, della US Air Force, del controspionaggio militare e infine dello Strategic Services Unit e del Central Intelligence Group, che di volta in volta lo interrogavano, l’importanza del ruolo primario che aveva rivestito nelle file dello spionaggio tedesco sul fronte orientale, e quindi dell’opportunità che si offriva loro di una così preziosa collaborazione in chiave anti comunista.

A parte la naturale diffidenza nei confronti di chi aveva militato fino a qualche giorno prima dalla parte sbagliata, il generale tedesco era ben conscio di potersi giocare le sue carte fino in fondo, anche perché disponeva ancora di buona parte dell’archivio del Fremde Heere Ost, comprendente documenti microfilmati, che aveva fatto seppellire nei campi dai suoi uomini durante la breve latitanza. Doveva solo trovare, dall’altra parte, la persona giusta che potesse ascoltarlo per poi riportare superiormente la sua ‘proposta indecente’.

Dalla cernita dei documenti declassificati dalla CIA nel 2002, è tornato in luce anche il Report of Initial Contacts with General Gehlen’s Organization, stilato il 1° maggio 1952 dal capitano John Robert Boker.

Questo e altri documenti concernenti l’Organizzazione Gehlen, sono stati raccolti in Forging an Intelligence Partnership: CIA and the Origins of BND [primo volume 1945-1949, 2002; secondo volume 1949-1956, 2006, N.d.A.], a cura dello storico della CIA Kevin Conley Ruffner, che vanta un passato nel Counter Intelligence Corps (CIC), l’agenzia di spionaggio dell’esercito degli Stati Uniti. Fu, infatti, il giovane Boker del servizio segreto dell’esercito americano, un uomo di grande cultura che vantava anche antenati tedeschi, che indusse in qualche modo Gehlen a collaborare; non per niente tra i due nacque anche un rapporto di estrema fiducia, che si trasformò ben presto in amicizia.

Boker riunì a Wiesbaden, il campo di detenzione in cui gli ufficiali tedeschi erano interrogati dal XII° Army Group Interrogation Center, l’ex stato maggiore di Gehlen, facendo arrivare da altri campi i sette ufficiali espressamente richiesti dal generale.

Gehlen fu così convincente che Boker fece tutto questo con la massima discrezione, informando degli sviluppi solamente coloro che probabilmente, fin dal principio, diedero sostegno al progetto denominato ‘Operazione Rusty’. Tra questi c’erano il colonnello William Russell Philip, comandante dell’Interrogation Center, il generale William Wilson Quinn, Capo di Stato Maggiore del G-2 (Servizio Informazioni dell’Esercito) del IV Corpo d’Armata, e il generale di brigata Edwin Luther Sibert dell’United States Forces European Theater (USFET), quindi a capo dell’intelligence militare in Europa.

Fu proprio Sibert che presentò Gehlen al generale William Donovan, capo dell’OSS (Office of Strategic Services) durante il conflitto, ad Allen Welsh Dulles, futuro capo della CIA, e a Frank Wisner, che in seguito diventerà capo dell’ufficio OPC della CIA, incaricato di organizzare le reti stay-behind in Europa.

Dulles, come ricorda il giornalista Guido Caldiron, prese in mano la nascente Organizzazione Gehlen e fornì a Gehlen ingenti mezzi finanziari che gli permisero di allestire la più grossa ed efficiente macchina di spionaggio dell’Europa occidentale.

Hai letto un estratto da “Le spie naziste degli Stati Uniti” (Idrovolante Edizioni, 2023).

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