I debiti dell’America

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La testa della Statua esposta all’Exposition universelle di Parigi nel 1878 (Pubblico dominio)

Gli Stati Uniti d’America dovettero affrontare notevoli sfide, fra tutte la restituzione del debito maturato per finanziare la Guerra d’indipendenza, in tutto ottanta milioni di dollari nei confronti di paesi esteri, cittadini americani e Stati membri.

La strada scelta da Alexander Hamilton, dal 1789 al 1795 Segretario del Tesoro del governo Washington, fu quella del consolidamento, riconvertendo i titoli federali e statali e i certificati di debito o prestito in nuovi titoli federali con il medesimo valore nominale, negoziabili anche nelle transazioni commerciali, che prevedevano il pagamento di interessi grazie ai dazi doganali sulle importazioni e alle imposte indirette incassate dallo stato.

Il Funding Act, questo il nome della legge approvata nel 1790, fu un’ingegnosa soluzione per svincolare le ex colonie dai prestiti obbligazionari contratti durante il conflitto, ma andava a favorire, inevitabilmente, i primi gruppi finanziari americani, che dopo la guerra avevano acquistato a prezzo stracciato, da benestanti e soldati, obbligazioni, cambiali e certificati di debito, che ora lo stato riconosceva nel loro valore originale. Questi faccendieri non avevano, rispetto a quelli europei, altro modo per speculare e investire in quel preciso momento.

Malgrado l’iniziale riduzione delle tasse da parte degli Stati membri, in conseguenza dell’estinzione delle obbligazioni, la successiva introduzione di tasse federali, svuotò il provvedimento di qualsiasi valore. Inoltre, alcuni stati che avevano già restituito gran parte del debito, come la Virginia, ne uscivano enormemente penalizzati. L’emissione di certificati di debito fruttiferi di interessi e obbligazioni da parte degli Stati e del Congresso, per coprire il deficit di bilancio durante la Guerra d’indipendenza, costituiva, però, solamente il 27% del debito, poiché il 67% proveniva dalla stampa di moneta, senza peraltro una copertura a garanzia per la mancanza di oro, argento o riscossioni erariali.

Tutta questa valuta in circolazione, qualche centinaia di milioni di dollari, alimentata dalle contraffazioni, provocò una grande inflazione che fece crollare il valore del dollaro federale continentale.

Il Congresso, già nel 1780, rivalutò ufficialmente il suo dollaro a solo un terzo del valore del 1775. Ma il valore del dollaro precipitò di nuovo, tanto che appena l’anno dopo ci vollero centosessantasette dollari per eguagliare il dollaro precedente.

I prestiti dall’estero, per un ammontare di cinque milioni circa, corrispondenti al 6% sul totale, provenivano dal governo francese (oltre due milioni di dollari, la maggior parte dei quali negoziati da Benjamin Franklin) e spagnolo e da investitori olandesi (nel 1782 con l’intermediazione di John Adam), con interessi generalmente favorevoli. Gran parte di questo denaro, curiosamente, fu speso in Europa per l’acquisto di forniture militari e per pagare gli interessi sul debito.

Nel 1785 il Congresso, a corto di liquidità, interruppe il pagamento degli interessi alla Francia e non riuscì a rispettare i pagamenti previsti dovuti nel 1787, poiché gli Stati membri non corrispondevano al governo federale abbastanza risorse.

Solo con la politica finanziaria promossa da Hamilton,come risulta dagli incartamenti conservati al Dipartimento di Stato americano, fu possibile onorare quei debiti, negoziando nuovi prestiti a tassi di interesse più bassi. Dal 1790 ripresero, quindi, regolarmente i pagamenti del debito contratto con la Francia, anche in ragione di ulteriori prestiti concessi agli Stati Uniti nel 1787 e nel 1788 da banchieri e investitori olandesi, con cui furono pagati anche quelli contratti in precedenza col governo spagnolo.

Nel 1795, gli Stati Uniti riuscirono finalmente a saldare i propri debiti con il governo francese, ma in maniera del tutto singolare, come risulta dall’Office of the Historian del Dipartimento di Stato: «Nel 1795, gli Stati Uniti riuscirono finalmente a saldare i propri debiti con il governo francese con l’aiuto di James Swan, un banchiere americano che si fece carico privatamente dei debiti francesi a un tasso di interesse leggermente più alto. Swan ha poi rivenduto questi debiti con profitto sui mercati nazionali statunitensi. Gli Stati Uniti non dovevano più denaro ai governi stranieri, anche se continuavano ad avere debiti con investitori privati ​​sia negli Stati Uniti che in Europa».

John L. Smith Jr. del Journal of the American Revolution, valutando il costo della guerra rivoluzionaria americana ha stimato l’ammontare in centosessantacinque milioni di sterline dell’epoca, che potrebbero corrispondere, convertendo con ogni approssimazione le valute, a più di venti miliardi di dollari odierni.

 

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