La conferenza di Yalta, tenutasi in Crimea dal 4 all’11 febbraio 1945, dettò l’agenda politica di una tacita spartizione dell’Europa in due aree d’influenza, sostanzialmente sotto il controllo americano e sovietico.
L’Armata Rossa guidata dal generale Georgij Konstantinovich Zhukov, artefice dell’accerchiamento delle forze tedesche a Stalingrado, si trovava già a ottanta chilometri da Berlino, mentre gli eserciti degli altri Alleati stavano stagnando sia a nord, dopo le perdite patite in conseguenza dell’offensiva tedesca delle Ardenne, sia a sud, dove il fronte era bloccato da qualche tempo sulla linea Gotica.
La Russia, al tavolo delle trattative, riuscì a far valere questo vantaggio, comunque maturato grazie agli aiuti in mezzi e generi di prima necessità ricevuti dagli Stati Uniti, per ottenere migliori condizioni.
Il giornalista Luciano Atticciati ricorda che le richieste di Stalin che furono accolte, erano in qualche modo riconducibili al Patto Molotov-Ribbentrop, siglato tra tedeschi e russi nel 1939: «annessione di Lituania, Lettonia ed Estonia, e accorpamento delle province orientali della Polonia portando il confine russo-polacco su una linea vicina a quella tracciata da Curzon negli anni Venti».
Le risoluzioni sancite a Yalta furono spesso accordi o compromessi di matrice russo-americana, imposti agli inglesi, come ricordava lo storico britannico Alan John Percivale Taylor.
Tra questi, lo smembramento della Germania (che in realtà non divenne mai operante), l’egemonia russa sulla Polonia (senza interferenze da parte del governo polacco in esilio a Londra) e la corresponsione del 50% delle riparazioni di guerra (circa dieci milioni di dollari, sul totale) alla Russia.
Per ciò che concerne il problema della forma di governo nei territori occupati dall’Armata Rossa, tema ricorrente anche nel discorso che Churchill tenne a Fulton il 5 marzo 1946, Taylor annotava: «Le potenze occidentali lamentavano che i loro diplomatici non avevano voce in capitolo in Bulgaria, Ungheria e Romania. Stalin di rimando rispose che i diplomatici russi non contavano nulla in Francia e Italia, Paesi conquistati o liberati dagli inglesi e dagli americani. Le potenze occidentali rimasero sconcertate dal parallelismo. Credevano, quali grandi potenze di vecchia data, di essere autorizzate a determinare la forma di governo nelle città occupate. Non era loro mai passato per la mente che i sovietici avrebbero reclamato gli stessi diritti sull’Europa occidentale».
In definitiva, nonostante i controversi risultati conseguiti dagli Stati Uniti, Roosevelt si disse comunque soddisfatto, poiché a Yalta aveva ottenuto l’impegno di Stalin a intervenire in guerra contro il Giappone, e soprattutto il consenso alla creazione delle Nazioni Unite (Organizzazione delle Nazioni Unite, ONU), anche se la Russia si riservava il diritto di veto nei confronti dei voti espressi dalle piccole nazioni.
Winston Churchill invece, perlomeno in quel frangente, fu poco più di una comparsa.
Lo statista inglese, però, aveva già fatto la sua parte in un incontro con Stalin avvenuto al Cremlino nella notte del 10 ottobre 1944, come raccontava lui stesso, candidamente, nelle sue memorie:
«Il momento era favorevole per trattare, perciò dissi a Stalin: “Sistemiamo le nostre faccende nei Balcani. I vostri eserciti si trovano in Romania e in Bulgaria, dove noi abbiamo interessi. Non procediamo a offerte e controfferte stiracchiate. Per quanto riguarda la Gran Bretagna e la Russia, che ne direste se aveste una maggioranza del 90 per cento in Romania e noi una percentuale analoga in Grecia e partecipassimo invece su un piede di parità in Jugoslavia? Mentre si procedeva alla traduzione, trascrissi la proposta su mezzo foglio di carta. E cioè, Romania: 90% alla Russia, 10% agli altri; Grecia: 90% alla Gran Bretagna, 10% alla Russia; Jugoslavia: 50-50%; Ungheria: 50%; Bulgaria: 75% alla Russia, 25% agli altri. Passai il foglietto a Stalin il quale, dopo una breve pausa, prese la sua matita blu e con essa tracciò un grosso segno di “visto” sul foglio, che quindi ci restituì. La faccenda fu così sistemata, completamente in men che non si dica… Seguì un lungo silenzio. Il foglio segnato a matita era lì al centro del tavolo. Finalmente io dissi: “Non saremo considerati cinici per il fatto che abbiamo deciso questioni così gravide di conseguenze per milioni di uomini in maniera improvvisata? Bruciamo il foglio”. “No, conservatelo voi” rispose Stalin».
Quel mezzo foglio di carta sul quale erano elencati gli interessi percentuali della Russia e della Gran Bretagna, fu in seguito definito dallo stesso Churchill un “documento indecente”.
A quell’incontro non partecipò Roosevelt, troppo impegnato nella campagna elettorale presidenziale. In sua vece presenziò come osservatore l’ambasciatore William Averell Harriman, che non comprese appieno l’accordo siglato da Churchill e Stalin, come suggerisce il giornalista Alessandro Frigerio: «Harriman, l’osservatore americano, disse allora, e ribadì sconsolato anni dopo nelle sue memorie, di non aver mai capito cosa diavolo si volesse ottenere con quelle percentuali. Una divisione di territori? Una spartizione in sfere di interesse? Un controllo sulla formazione dei nuovi governi nei paesi in esame?».
In verità, prosegue Frigerio, Roosevelt preferiva attendere la fine della guerra e trattare con gli alleati il futuro assetto mondiale in una conferenza di pace.
Insomma, e non avevano tutti i torti, gli Stati Uniti volevano mantenere una completa libertà d’azione.
Il cosiddetto “documento indecente”, alla luce dei rapporti tra le parti che si svilupparono in seguito, non produsse gli effetti sperati, diventando carta straccia.
Hai letto un estratto dal libro “Le spie naziste degli Stati Uniti” (Idrovolante Edizioni, 2023).