Il 5 marzo 1946 Winston Churchill tenne un celebre discorso al campus del Westminster College di Fulton, nel Missouri.
Di fronte a quarantamila persone e seguito in radio da milioni di ascoltatori, lo statista inglese, che dal 28 luglio dell’anno precedente non ricopriva più incarichi pubblici in conseguenza della sconfitta elettorale, aizzò da par suo la folla «per il tono profetico, la durezza del linguaggio, il rifiuto di ogni velo diplomatico», come descriveva la scena più di trent’anni fa il giornalista Alberto Baini sulle pagine di Storia Illustrata.
D’altronde Churchill era «un uomo ringhioso, furente, perennemente in collera. Come ringraziamento per la guerra vinta gli elettori britannici lo avevano congedato a metà della conferenza di Potsdam».
In quell’occasione il politico si sentì in dovere di ricordare che:
«da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico, è calata sul continente europeo una cortina di ferro. Dietro quella linea ci sono tutte le capitali degli antichi stati dell’Europa centrale e orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia, tutte queste famose città e le popolazioni che le circondano si trovano in quella che debbo chiamare la sfera sovietica e sono tutte soggette, in una forma o nell’altra, non soltanto all’influenza sovietica, ma anche ad un controllo assai stretto, e in molti casi crescente, da parte di Mosca. Atene solo è libera – la Grecia con le sue glorie immortali – di decidere il suo futuro grazie alle elezioni sotto il controllo inglese, americano e francese […]. I partiti comunisti che erano assai piccoli in tutti questi stati dell’Est Europa, sono stati portati ad assumere posizioni di preminenza e di potere ben al di là della loro capacità numerica e dappertutto cercano di ottenere un controllo totalitario. I governi polizieschi stanno prevalendo in quasi tutti i casi e finora, esclusa la Cecoslovacchia, non c’è vera democrazia. Se ora il governo sovietico tenterà, con azioni autonome, di costruire una Germania filo comunista nei territori sotto il suo controllo ciò causerà nuove difficoltà nelle zone sotto il controllo britannico e americano, e metterà i tedeschi sconfitti all’asta tra i sovietici e le democrazie occidentali. Qualsiasi conclusione possa verificarsi da questi fatti – e sono fatti – certamente questa non è l’Europa libera per cui abbiamo combattuto e non è neppure quella che racchiude in sé i fattori costitutivi della pace permanente. Da ciò che ho visto dei nostri amici russi ed alleati durante la guerra, sono convinto che essi non ammirino nulla più della forza, e che non ci sia niente verso cui abbiano minor rispetto che la debolezza, in particolare la debolezza militare. Per questa ragione la vecchia dottrina dell’equilibrio dei poteri è obsoleta. Non possiamo permetterci, anche se possiamo farlo, di lavorare con prospettive ristrette, offrendo pretesti a dimostrazioni di forza. […]. La sicurezza del mondo […] richiede una nuova unità in Europa, dalla quale nessuna nazione deve essere esclusa in modo permanente. […] Di certo dobbiamo lavorare con consapevole determinazione per una grande pacificazione dell’Europa all’interno della struttura delle Nazioni Unite e in conformità ai principi della nostra Carta».
Churchill andava poi nel dettaglio, spiegando che quel che voleva la Russia non era una nuova guerra, ma «raccogliere i frutti della guerra e l’indefinita espansione del suo potere e delle sue dottrine».
Secondo il giornalista Gianni Corbi, con quel discorso «clamoroso, pari per importanza a quello delle “lacrime e sangue” con cui aveva incitato i suoi compatrioti a non indietreggiare di fronte a Hitler», Winston Churchill tornò alla ribalta: «Un discorso ufficialmente intitolato “Le risorse della pace”, ma che è passato alla storia come il proclama della “cortina di ferro”», un termine che lo statista aveva già coniato qualche mese prima, come dimostra il contenuto di un telegramma che inoltrò l’11 maggio 1945 al presidente americano Harry Truman, durante la crisi di Trieste: dieci giorni prima le milizie di Tito avevano preso possesso della città.
In quella circostanza Churchill scriveva, infatti:
«Una cortina di ferro è calata sul loro fronte [dei russi]. Non sappiamo che cosa stia succedendo dietro di essa. Non c’è dubbio che l’intera regione ad est della linea Lubecca – Trieste – Corfù sarà presto completamente nelle loro mani. A ciò inoltre bisogna aggiungere l’enorme area tra Eisenach e l’Elba che gli americani hanno conquistato e che presumo i russi occuperanno fra poche settimane, quando gli americani si ritireranno».
Le frasi pronunciate da Churchill a Fulton, da cui tuttavia il governo americano e quello inglese presero subito le distanze (anche se Truman e Attlee ne conoscevano già in anticipo il contenuto), sono ancor oggi considerate tra i fulcri della guerra fredda, poiché esprimevano senza tanti giri di parole la situazione che si stava consolidando nell’Europa orientale, e che avrebbe perdurato per almeno quattro decenni.
È sconcertante apprendere che, prima di Churchill, fu addirittura Joseph Goebbels, Ministro della Propaganda del Reich, a scrivere di “cortina di ferro” il 25 febbraio 1945, nell’editoriale Das Jahr 2000 apparso sulle pagine di Das Reich, il settimanale che lui stesso aveva fondato cinque anni prima:
«Se il popolo tedesco deponesse le armi, i sovietici, secondo l’accordo tra Roosevelt, Churchill e Stalin, occuperebbero tutta l’Europa orientale e sudorientale insieme alla maggior parte del Reich. Una cortina di ferro calerebbe su questo enorme territorio controllato dall’Unione Sovietica, dietro il quale le nazioni verrebbero massacrate. La stampa ebraica a Londra e New York probabilmente continuerebbe ad applaudire. Tutto ciò che rimarrebbe è la materia prima umana, una massa stupida e in fermento di milioni di animali da lavoro proletarizzati disperati che saprebbero solo ciò che il Cremlino vuole che sappiano del resto del mondo. Senza leadership, cadrebbero impotenti nelle mani della dittatura del sangue sovietica. Il resto dell’Europa cadrebbe in una caotica confusione politica e sociale che preparerebbe la strada alla bolscevizzazione che seguirà. La vita e l’esistenza in queste nazioni sarebbero diventate un inferno, che era dopo tutto lo scopo dell’esercizio. […] Le democrazie non sono all’altezza di trattare con il sistema bolscevico, poiché usano metodi completamente diversi. Sono impotenti come lo erano i partiti borghesi in Germania contro i comunisti prima che prendessimo il potere. A differenza degli Stati Uniti, il sistema sovietico non ha bisogno di tenere in considerazione l’opinione pubblica o il tenore di vita della sua gente. Non ha quindi bisogno di temere la concorrenza economica americana, per non parlare dei suoi militari».
Goebbels non aveva fatto altro che riprendere il termine da quanto scritto appena una settimana prima, sulla stessa rivista, dal giornalista Max Walter Clauss, corrispondente da Lisbona sotto lo pseudonimo di “cl Lissabon”:
«Una cortina di ferro di fatti compiuti dai bolscevichi è scesa su tutta l’Europa sud-orientale nonostante l’appello di Churchill a Mosca prima delle elezioni di Roosevelt. Questo sta accadendo inesorabilmente all’Europa dopo la “Conferenza tripartita” di Yalta. Il Dipartimento di Stato americano e il Ministero degli Esteri inglese sono in lizza tra loro per inventare qualche stratagemma diplomatico e dare l’impressione, nei rispettivi paesi, che le potenze occidentali siano in qualche modo partecipi al funzionamento della cortina di ferro, prima che tutta l’Europa sia scomparsa dietro di essa».
Hai letto un estratto dal libro “Le spie naziste degli Stati Uniti” (Idrovolante Edizioni, 2023).