Il Trattato di Versailles, firmato il 28 giugno 1919 e promulgato il 10 gennaio successivo, fu un accordo tra le parti, per la verità non tutte pienamente convinte, che sancì le risoluzioni da assumere nei confronti della Germania, cui fu imposto il disarmo, la perdita di grandi porzioni di territorio e l’obbligo di risarcire i vincitori.
Una commissione formata da rappresentanti di Stati Uniti, Inghilterra e Francia, riunitasi a Londra il 5 maggio 1921, stabilì le riparazioni di guerra nella cifra di 132 miliardi di marchi oro, che in realtà, per un insieme di ragioni, si riducevano a cinquanta.
Per ripagare le riparazioni di guerra a Francia e Inghilterra, la Germania fu quindi costretta ad accettare l’aiuto finanziario offerto dagli istituti di credito americani.
Quello che passò alla storia come il Trattato di Versailles, in realtà si dimostrò niente più di un compromesso tra le aspirazioni, non solo territoriali, di Inghilterra e Francia, e le aperture forse eccessive degli Stati Uniti verso la Germania.
Sotto la minaccia di un’invasione, la Germania firmò malvolentieri quel trattato capestro, non avendo altre scelte, poiché fin dall’inizio gli furono precluse anche le vie diplomatiche.
L’opinione pubblica americana, soprattutto i cattolici irlandesi e i tedeschi emigrati in America, palesava malcontento poiché riteneva il trattato troppo favorevole per l’Inghilterra. È pur vero che, come ricorda Eugene Davidson nel suo L’ascesa di Adolf Hitler, addirittura «John Maynard Keynes, noto economista e membro della delegazione inglese, diede le dimissioni per protesta e scrisse un libro intitolato Le conseguenze economiche della pace, col quale dimostrò l’irrazionalità delle riparazioni punitive e delle clausole economiche del trattato, attaccandone i responsabili».
Lo storico Francesco Perfetti, riferendosi al saggio pubblicato da Keynes, sostiene che l’economista «ebbe parte notevole nella progressiva delegittimazione del Trattato di Versailles. La tesi centrale del saggio era che la pace imposta dal Trattato avrebbe completato la distruzione economica dell’Europa già operata dalla guerra.
Il Trattato non conteneva disposizioni utili per risollevare economicamente l’Europa: non c’era nulla in esso che giovasse a «mutare in buoni vicini gli Imperi centrali sconfitti; né a recuperare la Russia» e neppure a «promuovere in alcun modo un patto di solidarietà fra gli stessi Alleati».
Esso era deprecabile anche dal punto di vista morale, essendo «odiosa e ripugnante» la politica volta a «ridurre la Germania in servitù per una generazione» e a «degradare la vita di milioni di esseri umani privando un’intera nazione della felicità».
Ai dubbi espressi da Keynes, rispose subito André Tardieu, ministro francese delle Regioni liberate, che apostrofò l’economista ‘scriba germanofilo di Cambridge’.
Insomma, la cosiddetta Repubblica di Weimar, che avrebbe dovuto pagare quasi subito 250 milioni di dollari e poi versarne 500 ogni anno, nasceva già morta.
Il governo fu costretto a emettere obbligazioni e istituire un fondo d’ammortamento per sostenere il pagamento di queste riparazioni.
Ma l’economia tedesca non riuscì a risollevarsi, tanto che non fu possibile rispettare il pagamento delle riparazioni.
Questo comportò l’ennesima umiliazione per la Germania: da lì a poco alcune divisioni dell’esercito di Francia e Belgio, per rivalsa, occuparono militarmente prima la Renania smilitarizzata, poi la regione della Ruhr.
Il paese, a quel punto, con le casse statali completamente vuote, un’inflazione fuori controllo e la requisizione della porzione più produttiva del suo territorio, si stava avviando verso il fallimento economico.
Fu così che nacquero organizzazioni di destra, conservatrici, nazionaliste ed ex combattenti, anche se queste formazioni, soprattutto per mancanza di adeguate risorse economiche, non riuscirono mai a costituirsi in un fronte unitario.
Hai letto un estratto del libro “Le finanze occulte del Führer”, Edizioni Aurora Boreale, ottobre 2023.