Il cosiddetto Primo Tempo, l’alba della civiltà nell’Egitto di Osiride, è testimoniato dai Testi delle piramidi risalenti alla V dinastia. Stando al racconto mitologico la divinità avrebbe riunificato, sotto la sua corona, l’intero regno.
La storia narra invece che fu re Narmer, forse identificabile nella figura del mitico Menes, a riunire le terre d’Egitto alla fine del IV millennio a.C. Già nel VI millennio a.C. un’antica popolazione si rese protagonista della costruzione, nel Sahara orientale, di elaborate strutture perfettamente allineate con il Sole e alcune stelle, simili per molti aspetti a quelle di Stonehenge.
I misteriosi costruttori di Nabta Playa, una località della Nubia situata quasi sul tropico del Cancro, a un centinaio di chilometri da Abu Simbel, eressero queste pietre tra il 5000 a.C. e il 4700 a.C., nei sedimenti depositati sulla depressione, formando anelli circolari, strutture sepolcrali e linee di megaliti da cui osservavano l’orizzonte, puntando lo sguardo verso il giorno del solstizio d’estate.
A Nabta Playa l’archeologo Fred Wendorf della Southern Methodist University di Dallas scava dal 1973 e, tra l’altro, ha portato alla luce centinaia di focolari, pozzi d’acqua in profondità, ceramiche, ossa animali e resti di capanne.
L’astrofisico John McKim Malville della University of Colorado, a sua volta, ha determinato gli allineamenti di alcuni megaliti, in direzione nord-sud e del sorgere del sole all’orizzonte. Un circolo di pietre del diametro di quattro metri, con otto pietre accoppiate, permetteva all’osservatore di guardare verso est il giorno del solstizio d’estate di settemila anni fa.
L’astrofisico Thomas Brophy (coautore con Robert Bauval de “Il mistero della Genesi”, Corbaccio, 2011) si spinge oltre, suggerendo che le linee di megaliti siano correlate con almeno sei stelle importanti della costellazione di Orione (Alnitak, Alnilam, Mintaka, Betelgeuse, Bellatrix, e Meissa), così come dovevano apparire nel 6270 a.C.
Un grande centro cerimoniale in cui già ottomila anni fa convergevano i gruppi provenienti da piccoli accampamenti stagionali, per registrare gli eventi astronomici di quei megaliti (una trentina di strutture complesse, sia in superficie sia interrate), che servivano anche per stabilire l’arrivo delle piogge.
Era un Sahara ben diverso da oggi, come scrive lo specialista in storia e archeologia africana Bernard Nantet: «Sotto l’influenza della grande glaciazione che coprì la maggior parte dell’emisfero settentrionale, il livello del mare scese e le coste del Sahara Occidentale si trovarono 110 metri sotto il livello attuale del mare. Il ritorno a un clima temperato è relativamente rapido. 12.000 anni fa, la Corrente del Golfo, che scalda il Nord Atlantico si rimette in moto e il mare ritrova il suo ruolo regolatore di grande macchina della pioggia. Il deserto ne è il beneficiario principale. Prende poco a poco l’aspetto di una vasta savana e per migliaia di anni, tra l’8000 e il 2000 prima della nostra era, vive il suo periodo d’oro… Laghi e paludi occupano anche vaste aree e le rive dei grandi fiumi, ad eccezione dei tratti in collina, sono impraticabili per via delle piene annuali, che possono raggiungere i cinque o sei metri… Gli spostamenti della popolazione tra il Sahara centrale e la valle del Nilo non presentano difficoltà».
Curioso constatare che in quel tempo remoto gli allineamenti potevano anche essere sommersi dal livello dell’acqua di un antico lago che si andava formando durante la stagione delle piogge, quasi fossero dei marcatori anche per quell’elemento.
Quasi tremila anni prima della datazione comunque controversa assegnata alla piramide a gradoni di Saqqara, eretta all’incirca nel 2670 a.C. e attribuita al genio di Imhotep, un popolo nomade ma socialmente organizzato era depositario di una scienza che potrebbe perdersi nelle pieghe del passato.
Un periodo che potrebbe corrispondere a quello della Sfinge di Giza, che il geologo stratigrafo Robert Schoch della Boston University, studiandone l’erosione dovuta all’acqua piovana, ha fatto risalire ad almeno il periodo compreso tra il 7000 e il 5000 a.C., o addirittura prima.
Le conoscenze astronomiche nel profondo del Neolitico, in quelle che sono ora depressioni desertiche, destano meraviglia ma anche qualche problema d’incastro nella cronologia accettata.
Dal VI millennio a.C., in seguito al progressivo inaridimento di Nabta Playa, ci furono costanti migrazioni di questa gente nomade verso nord, in direzione del delta del Nilo. Il sito era occupato probabilmente solo nella stagione estiva, tra il 9000 a.C. e il 2800 a.C., con parentesi d’abbandono tra il 5500 a.C. e il 4500 a.C. (due i periodi di grande siccità: tra il 5300 a.C. e il 5100 a.C. e tra il 4700 a.C. e il 4500 a.C.).
Il ritorno a Nabta Playa prima del definitivo abbandono presenta una rilevante evoluzione nel sistema e nell’organizzazione sociale degli occupanti.
Questo misterioso popolo proveniente dall’Africa più profonda, contribuì a fondare l’Antico Regno d’Egitto che tutti conosciamo.
Un tumulo di pietra del diametro di otto metri conteneva i resti completi di una mucca, sepolta in una camera scavata nel pavimento. Nella stessa zona sono stati rinvenuti altri sette tumuli di pietra contenenti resti di bestiame, senza camere sotterranee, con le ossa poste tra le pietre; non sono stati invece rintracciati resti umani. Un pezzo di legno della copertura ha prodotto una datazione al radiocarbonio attestata al 4470 a.C., forse la data di un ultimo rito propiziatorio prima dell’abbandono del centro cerimoniale.
Il culto del bestiame divinizzato era destinato a proseguire altrove. Da lì a poco sarà proprio una mucca a essere considerata la madre del sole (il “Toro del Cielo”): Hathor rappresentata come una mucca mentre il marito Horus come un toro possente, con le rispettive raffigurazioni astrali.
Nella parte inferiore della tavoletta di re Narmer (3100 a.C.), il toro che abbatte le mura della città e schiaccia il re nemico è la rappresentazione del sovrano paragonato a Horus, rappresentato sia come falco sia come toro possente.