Durante l’epoca vichinga, quello che oggi è il lago Malaren era ancora una baia del Mar Baltico e tale restò fino al XIII secolo.
Di là delle spiegazioni che fornisce Snorri Sturluson nell’Edda, con la dea Gefjun sotto mentite spoglie che inganna il re Gylfi per accaparrarsi più terra possibile, il Malaren divenne un lago a causa dello scioglimento dei ghiacci e del sollevamento della crosta terreste, un lento fenomeno definito ‘rimbalzo post glaciale’, che si verifica al termine delle ere glaciali.
Il lago si contraddistingue per la presenza di numerosi isolotti, uno dei quali, Bjorko, ospitava Birka, che all’epoca doveva essere un importante snodo commerciale fondato dai vichinghi svedesi nell’VIII secolo.
Li Kolker del Museo storico nazionale di Stoccolma descrive Birka come la versione vichinga di New York o Londra, poiché vi confluivano una mescolanza di idee dall’estero.
La cittadina portuale rimase in attività fin quasi all’anno Mille, poi le acque del lago si abbassarono così tanto che ne preclusero l’accesso al Mar Baltico.
Gli scavi archeologici nella zona hanno portato alla luce tre porti, di cui due naturali, come dimostra il rinvenimento di una banchina di pietra e alcuni moli di legno; nella vicina Kugghamn sono emerse altre infrastrutture portuali, mentre a Salviksgropen è stata rinvenuta una darsena per l’attracco di piccole imbarcazioni.
Da Birka e Hovgarden si movevano gli intraprendenti commercianti scandinavi per raggiungere Costantinopoli, navigando sulle acque del Mar Baltico, del Dniepr e del Volga, con tappe intermedie a Staraja Ladoga e Velikij Novgorod.
Il centro commerciale era frequentato non solo dai mercanti provenienti da Frisia, Inghilterra e Germania, ma anche da greci e bizantini. Tra i prodotti che la piazza poteva offrire, sicuramente i pregiati mantelli di pelliccia della Lapponia e della Finlandia, la ceramica della Renania, i pettini intagliati a mano, denti di molluschi, ambra e miele della Svezia meridionale, vetro, metallo e pallia fresonica (stoffe di lana tessute nella Fiandra).
Non mancavano oggetti provenienti dal Medio Oriente, come la seta cinese e il ricamo bizantino in filo d’oro.
Il giornalista della BBC Cameron Balbirnie, che ha lavorato alla serie A History of Ancient Britain and Vikings, racconta che «In un unico sito sulla piccola isola svedese di Helgo, gli archeologi hanno recuperato il pastorale di un vescovo irlandese, un mestolo copto etiope e una statuetta di Buddha che in qualche modo ha viaggiato verso ovest partendo dall’India. Alcuni dei reperti più significativi sono costituiti da grandi quantità di monete in argento arabo, che veniva scambiato con sete preziose e spezie per pellicce scandinave, ambra e schiavi».
Regis Boyer ricordava giustamente che, attorno al 980, le prospere miniere d’argento degli Arabi cominciavano a esaurirsi, di conseguenza non aveva più senso per i vichinghi proseguire nelle incursioni: da quel momento si passò quindi a vere e proprie iniziative di colonizzazione.
Per farci un’idea di come dovevano essere questi cosmopoliti centri commerciali, leggiamo quel che scrive Eric Christiansen: «A Schleswig, ad esempio, viveva una comunità stabile di Danesi e Frisi, e vi era un andirivieni continuo di Sassoni, Sorabi, Svedesi, Norvegesi e Russi; al mercato di Stettino si potevano incontrare Polacchi, Tedeschi, Danesi e Rugiani, e a Wollin, secondo Adamo di Brema, anche Greci. Lo stesso accadeva sull’isola di Gotland, a Sigtura e a Novgorod. In questi luoghi vigeva una pace commerciale che comprendeva tutti, pace che poteva essere il risultato sia di un accordo tra i mercanti, come per la vecchia legge svedese di Birka (dal nome di una vecchia città sede di mercato abbandonata dopo il 1060), sia di un negoziato con il signore a capo del territorio, come per la legge di Schleswig o i paragrafi commerciali delle prime legislazioni russe».
Birka poteva ben rappresentare in epoca medievale un esempio di cittadina multietnica, poiché richiamava genti da tutto il bacino del Baltico, attratte dall’opulenza derivante dal commercio marittimo.
Il rinvenimento a Birka di una sepoltura attestata al X secolo, con i resti ossei di una bambina di circa sei anni e un corredo funebre profondamente diverso da quello locale, suggerisce una provenienza dell’infante da Danimarca o Germania, anche per le succesive risultanze emerse dall’analisi di ossa e denti.
La ‘ragazza svedese’ può ben testimoniare la natura cosmopolita di Birka.
Un’altra curiosa sepoltura rinvenuta più di cent’anni fa a Birka, è quella relativa allo scheletro identificato con la sigla Bj 581.
Poiché il corredo funebre era composto soprattutto da armi (una spada, un’ascia, una lancia, arco e frecce, un coltello e due scudi), si era sempre ipotizzato, fin dagli anni Settanta del secolo scorso, che si trattasse di un guerriero vichingo.
Invece, come già suggerito nel 2014 dalla bioarcheologa dell’Università di Stoccolma Anna Kjellstromm (analizzando forma e dimensione del bacino e della mandibola), anche uno studio genetico pubblicato nel 2016 sull’American Journal of Physical Anthropology, ha sorprendentemente confermato che il guerriero era… una guerriera.
L’archeologa Charlotte Hedenstierna-Jonson dell’Università di Uppsala, sequenziando il genoma di ogni osso presente nella tomba, ha determinato che si tratta proprio di una donna.
Finora è l’unico caso documentato di una sepoltura femminile vichinga con un corredo funebre prettamente maschile.
L’archeologa Becky Gowland della Durham University, ha suggerito che «Per anni è stato presunto che dovesse essere un uomo perché i resti erano sepolti insieme a delle armi. Penso che sia un errore che gli archeologi fanno spesso, pensando al passato per come ce lo immaginiamo».
Anche Carolyne Larrington, professoressa di letteratura medievale europea all’Università di Oxford, è intervenuta sulla questione: «Stiamo trovando abbastanza prove che ci dicono che al tempo dei vichinghi i ruoli di genere erano più fluidi di quanto pensassimo e che quindi è possibile che in alcuni casi le donne fossero considerate socialmente uomini anche se non lo erano biologicamente, e che per questo potessero avere ruoli di comando militare».
Visto che scriviamo di sepolture, non pare fuori luogo ricordare che in giro per l’isola di Bjorko ci sono almeno milleseicento tumuli, tutti concentrati a est, nei pressi di Birka.
La ricerca archeologica ha distinto due modi diversi per l’inumazione dell’epoca: una prettamente svedese, che prevedeva una tomba con recinzione in pietra a riprendere la sagoma di una nave; l’altra estranea ai riti del luogo, più spartana, con feretri depositati in sepolcri camerali scavati nel terreno.
Non mancano chiaramente altri tipi di sepoltura, probabilmente riservati alle classi meno abbienti, poiché i corredi per l’aldilà, seppur presenti, non hanno la magnificenza riservata per esempio ai guerrieri.
In talune circostanze sono state rinvenute tombe contenenti corpi cremati.
Quando Birka declinò, l’eredità cosmopolita venne assunta da Hedeby, una colonia vichinga nella penisola dello Jutland, che prese importanza nell’XI secolo. La vicinanza del fiume Treene, connesso all’Eider che sfocia nel Mare del Nord, permetteva rapidi spostamenti di merci e uomini in tutta l’area del Baltico. Fra l’altro l’Eider era stato per secoli il confine tra il sacro Romano Impero e la Danimarca.
Hedeby, da cui passavano tutti i commerci per l’Europa, fu per questo oggetto di contesa fra svedesi, norvegesi e tedeschi.
I vichinghi svedesi, dopo essersi stabiliti sulle coste del Baltico, proseguirono verso la Russia e il Mar Nero, alla ricerca di altri mercati da conquistare.