Quando si parla di Norreni o Ascomanni, deve necessariamente intendersi l’insieme di quei popoli di stirpe germanica che in passato abitavano la penisola scandinava.
Questa gente era accomunata dalla stessa lingua di ceppo indoeuropeo, l’antico norreno, molto simile all’attuale islandese.
Regis Boyer, professore ordinario di Lingue, letterature e civiltà scandinave presso l’Università Sorbonne di Parigi, spiega infatti che «[…] con modeste varianti i vichinghi […] parlavano la stessa lingua che per comodità viene chiamata ‘antico norreno’ e che si è straordinariamente conservata, per ragioni storiche e geografiche, nella forma dell’islandese attuale, un idioma che è rimasto, con poche trasformazioni, pressoché nello stato in cui si trovava nell’anno 1000. In questa ‘lingua danese’ (donsk tunga) o ‘parlar norreno’ (norroent mal), che possiede tutte le caratteristiche dell’antico germanico, sono scritte le saghe islandesi».
È quindi questo il termine che dovremmo usare quando parliamo genericamente dei vichinghi, poiché è il solo che definisce con estrema precisione le genti della Scandinavia.
Notevole il comparto mitologico norreno giunto fino a noi, pur se largamente incompleto e forse rimaneggiato, poiché trascritto successivamente all’avvento della religione cristiana.
I testi di riferimento sono quelli compilati in prosa nel XIII secolo da Snorri Sturluson e Saxo Grammaticus, rispettivamente l’Edda, l’Heimskringla e le Gesta Danorum.
Si ritiene che questi e altri scritti contengano le tradizioni orali attestate all’ingresso dei vichinghi nella storia, pressappoco nel IX secolo.
Le saghe ‘storiche’ islandesi, come spiega Jesse L. Byock, professore specialista in archeologia, storia e lingua dell’era vichinga all’Università della California a Los Angeles, sono testi «[…] consistenti in 31 saghe maggiori e decine di altre più brevi, narrano i viaggi della prima generazione di coloni insediatisi in Islanda, il principale avamposto vichingo nell’Atlantico settentrionale. Scritte in prosa, ma con numerosi brani in versi, esse si riferiscono al periodo che va dall’870 al 1030 e, contrariamente alle saghe mitiche e fantastiche, molte delle quali furono anch’esse composte in Islanda, hanno uno stile misurato e cronachistico».
Altre fonti da cui è possibile attingere qualche sporadica informazione sull’argomento, a parte quelle tramandate dalla cultura popolare, sono rintracciabili nelle pietre runiche (di cui mi occuperò prossimamente in un altro articolo), che spesso descrivono le gesta di divinità o uomini divinizzati.
Le narrazioni sono riferite alle vicende che interessano la dimora degli dei, la mitica Asgard, che sovrasta la Terra di Mezzo, il mondo degli uomini, raggiungibile con il ponte dell’arcobaleno (Bifrost); mentre a nord e a sud vivono due stirpe di Giganti, più in basso trova posto il classico regno dei morti, l’Helheim.
Un mondo immaginario racchiuso dal corpo di un serpente e continuamente minacciato da un lupo, entrambi figli del malvagio Loki.
Odino, che assieme ai fratelli ha creato questo mondo, combatte strenuamente per mantenerne inalterato lo status quo, ma conosce anche il triste destino che incombe, come vaticinato da una veggente: le forze del male capeggiate dall’astuto Loki trionferanno infine su quelle del bene in quello che è chiamato Ragnarok, il fato degli dei.
Il comparto mitologico norreno non si discosta più di tanto dalle tradizioni tramandate in altri contesti, tanto è vero che dopo Ragnarok, il mondo risorgerà dalle sue ceneri, grazie ad alcuni protagonisti che torneranno dal regno dei morti; la razza umana riprenderà il cammino per merito di due sopravvissuti.
Alle vicende straordinarie contenute nei testi mitologici norreni, si contrappongono le gesta di uomini coraggiosi, che potrebbero anche essere guerrieri sacri (berserkirs) o regnanti realmente esistiti, forse gli stessi citati da Adamo di Brema nella sua Gesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum.