Dispersioni umane che segnano di fatto anche la fine della civiltà megalitica (una cultura itinerante che investì tutto il Mediterraneo dal VI millennio a.C.), sono attestate nel III millennio a.C., come testimoniano le diversificazioni degli aplogruppi, con l’arrivo in Europa di popoli provenienti dall’Anatolia, dal Medioriente e dall’Africa.
Questa migrazione, come le altre, può essere spiegata con fenomeni correlati a modifiche dell’ambiente, provocate da mutate condizioni climatiche: l’innalzamento del Golfo Persico nel 3500 a.C., l’allagamento della piana di Sumer e l’erosione di chilometri di coste possono davvero aver convinto i nostri antenati a cercare nuove terre.
Sarà proprio l’incrocio tra gli agricoltori del Medioriente e i cacciatori-raccoglitori paleo europei a determinare le caratteristiche genetiche di buona parte dell’attuale popolazione dell’Europa occidentale.
In uno studio pubblicato nel 2013 sulle pagine di Nature, Wolfgang Haak dell’Australian Centre for Ancient DNA dell’Università di Adelaide conferma che dall’analisi del DNA mitocondriale ciò accadde intorno al 2800 a.C.
La Mesopotamia è l’unica località sulla faccia della terra in cui le civiltà nel corso dei millenni si sono succedute senza interruzioni di sorta. È quel che emerge dalle ricerche archeologiche ma è meglio portare almeno un esempio: una città del periodo accadico risalente al III millennio a.C. conserva sotto le sue rovine almeno altre cinque differenti civiltà precedenti.
L’antropologo James C. Scott, che insegna Scienze politiche alla Yale University of New Haven (Connecticut), in un libro pubblicato in Italia nel 2018 (Le origini della civiltà. Una contro storia) suggerisce, controcorrente, che in Mesopotamia la formazione dei proto-stati avvenne circa quattromila anni dopo l’introduzione dell’agricoltura e la domesticazione degli animali. Finora si riteneva che la nascita dell’agricoltura avesse segnato anche quella dei primi agglomerati urbani.
La Terra fra due fiumi, inizialmente, era un territorio umido che favoriva caccia e raccolta, rispetto alla coltivazione di frumento e orzo, all’epoca d’importanza secondaria per il sostentamento. Il passaggio alla sedentarietà e all’agricoltura, avvenne solo tra il 3500 e il 2500 a.C., poiché un evento climatico ridusse il livello del mare e la portata dell’Eufrate.
Scott dice che la Mesopotamia meridionale nel VII e VI millennio a.C. non era per nulla arida e che «assomigliava di più a una terra umida paradisiaca per i raccoglitori. Grazie al consistente innalzamento del livello del mare e alla conformazione piatta del delta del Tigri e dell’Eufrate, ci fu una massiccia “trasgressione” marina verso le zone che ora sono aride».
Di fluttuazioni climatiche, le stesse cui accenna Scott, ragiona anche Wolfgang Behringer, docente di Storia presso l’Università del Saarbrucken in Germania, riguardo la situazione in Mesopotamia in quel periodo: «Intorno al 3500 a.C., il mare arrivava fino alla regione di Ur, il centro della cultura sumerica. Ur ed Eridu erano situate su una lingua di terra sopraelevata. Ma con la siccità e il clima secco del Subboreale la linea costiera si ritirò, consentendo agli abitanti del luogo di popolare una vasta e fertile zona fangosa».
Anche l’archeologo Barthel Hrouda, vissuto nel secolo scorso, si era espresso al riguardo: «In età storica la Mesopotamia meridionale era in gran parte abitabile: intorno al 14000 a.C., dal momento che il livello del mare era più basso, la linea di costa si trovava circa all’altezza dello stretto di Hormuz e solo gradualmente il mare si estese verso nord, fino a 400 km verso l’interno. A partire da 6.000 anni fa, il mare riprese a ritirarsi lentamente, tanto che oggi l’Eufrate e il Tigri non sfociano più separatamente nel Golfo Persico, ma confluiscono nello Shatt-el-Arab».
L’archeologo orientalista Hans Jorg Nissen, allo stesso modo, era giunto a identiche conclusioni, sulla scorta della stratigrafia dei fondali marini prospicienti la foce dei due fiumi: il raffreddamento climatico avvenuto dopo la metà del IV millennio a.C., doveva aver causato una fase secca, tanto da provocare il ritiro delle acque del Tigri e dell’Eufrate, esponendo notevoli estensioni di terra estremamente fertile.
L’aridità sarebbe quindi all’origine del movimento della gente verso i corsi d’acqua e i primi centri urbani.
È in quel preciso momento che si innesta la formazione dello stato e l’imposizione della tassazione sui cereali; secondo Scott, ciò avvenne anche in Egitto e nella valle dell’Indo.
Parimenti, l’invenzione della scrittura, in un contesto simile, sarebbe stata correlata all’esigenza di esazione delle tasse, mentre l’inizio delle guerre avrebbe a che fare con la conquista di forza lavoro.
Insomma, schiavi da impiegare successivamente nei campi.