L’assiriologo Pietro Mander dell’Università di Napoli l’Orientale, puntualizza che l’organizzazione politica della Sumeria aveva una precisa corrispondenza sul piano divino, poiché ogni città era sede di un dio particolare, che ne era il sovrano effettivo: «I poemi mitologici sumerici illustrano molto chiaramente come la città fosse stata creata per ospitare il culto e la regalità (quest’ultima come delega da parte del dio poliade, cioè protettore della città), le due istituzioni atte – nel progetto divino – a elevare l’umanità da uno stato simile alle bestie a uno proprio di “divinità minori”. L’uomo fu creato infatti dagli dei per sollevare le divinità inferiori dal pesante lavoro di conduzione dell’universo; il lavoro quindi, lungi dall’essere una condanna, costituisce l’attribuzione di un compito precedentemente assegnato a esseri divini. Nel suo insieme tutto il paese rispecchiava sul suolo l’assemblea degli dei, il cui aspetto manifesto erano le stelle».
Ogni divinità, quindi, aveva un santuario in una determinata città-stato della Mesopotamia meridionale: per esempio, tra le più importanti, Enlil a Nippur, Enki a Eridu e Anu e Inanna a Uruk.
L’archeologa Flaminia Cruciani chiarisce che la Mesopotamia era costellata di santuari che costituivano una vera e propria rete non solo terrestre ma celeste, essendo ogni santuario la rappresentazione simbolica dell’intero cosmo: «I templi venivano assimilati agli dèi, erano la loro immagine in terra […] Proprio perché emanazione dello stesso dio, il tempio non poteva essere edificato altrove».
Da quel che resta del cosiddetto Poema del Diluvio, un frammento di tavoletta rinvenuto a Nippur, che per i Sumeri era una città santa poiché considerata tradizionalmente luogo d’incontro degli dèi per decidere il destino di Sumer, sappiamo che Eridu fu la prima città creata dalle divinità; poi fu la volta di Bad-tibira, Larak, Sippar e Shuruppak.
Il testo precisa che queste città sorsero effettivamente per essere ‘centri del culto’, gli stessi che saranno poi distrutti dal diluvio, come anticipato da Enki al suo sacerdote Ziusudra.
Spesso la divinità chiamata Enki (Ea per i Babilonesi) viene raffigurata come Oannes o la sua creatura Adapa, cioè un uomo ricoperto con una pelle di pesce.
Il dio veniva venerato in un tempio di Eridu chiamato E-apsu, la ‘casa delle acque profonde’, ulteriore conferma delle sue prerogative e della provenienza acquatica.
In fondo Eridu (oggi Tell Abu Shahrain) si trovava all’epoca a ridosso dell’area paludosa dell’Eufrate, mentre oggi, a causa dell’accumulo millenario dei sedimenti, si trova a quasi duecento chilometri più a sud.
Il filosofo e storico dell’arte Helmut Uhlig, tempo addietro, specificava che nel secondo livello più profondo, immediatamente al di sopra di uno strato di ceramica primitiva dipinta a motivi astratti di color cioccolato, erano emerse le fondamenta di argilla battuta di una costruzione quadrata, senza dubbio destinata al culto.
Nel piccolo locale, appena nove metri quadrati, insiste centralmente un punto sacrificale. Poiché sulla parete esterna si trovano due muri circolari di un metro e mezzo di diametro ciascuno, si è ipotizzato che i costruttori del santuario fossero provenienti dal settentrione.
Infatti, come sostiene Uhlig «Costruzioni circolari con ‘struttura ad arnia’,dette tholoi, sono presenti anche nella cultura di Tell Halaf nel nord, dove erano probabilmente luoghi di culto della dea madre della fecondità, come si può dedurre dalle terracotte femminili rinvenute nei dintorni. È pertanto possibile che la gente di ‘Obeid ne costruisse anche nel sud. Tale interpretazione è suggerita dalla somiglianza fra la struttura del tempio quadrato di Eridu e quella del più antico tempio di Tepe Gaura (Mesopotamia settentrionale), nei cui dintorni sono stati rinvenuti analoghi resti di edifici a pianta circolare. Se poi si considera che nei secoli successivi – in epoca sumerica – gli dèi si presentano quasi sempre in coppia, e che anzi il legame amoroso fra il dio e la dea costituisce spesso la parte principale del mito e uno degli elementi più importanti di molte cerimonie culturali, ritenere tali costruzioni luoghi di culto e di sacrificio sacri al dio del sito e alla dea della fecondità non appare ingiustificato. Costruzioni circolari in coppia collocate a lato delle mura quadrangolari dei templi compaiono, oltre che nei più antichi, anche negli strati più recenti di Eridu. Ora, se queste strutture le immaginiamo ‘ad arnia’ come le tholoi del nord, viene spontaneo considerare che nell’iconografia sumerica primitiva i seni femminili rappresentino sorgenti di fecondità. Il muro di argilla che come un bastione cinge il luogo sacrificale sarebbe perciò da assegnare (in quanto elemento preposto a custodire l’arcano dalla vista profana) alla divinità maschile protettrice della città e al sacerdote – signore e guerriero – suo rappresentante. Qui riconosciamo il significato di protezione, custodia, promessa di fertilità dei più antichi luoghi culturali mesopotamici, i quali sono contemporaneamente le cellule germinali degli insediamenti. L’uso di collocare vicini i templi del dio e della dea, quale incontreremo in seguito nella sumerica Uruk, avrebbe dunque qui la sua origine».
Le interessanti considerazioni di Uhlig, non fanno che confermare come il culto di Enki a Eridu fosse spesso associato a quello di Ninhursag o Ninhursanga (dea della montagna, figlia illegittima di An, ricordata anche con il nome di Ninmah quando creò gli uomini dall’argilla), il cui tempio era l’Esaggila, la ‘casa dalla testa alta’.
D’altronde questa dea era la moglie di Ea/Enki, ricordata dagli Assiri col nome di Damkina, madre di Marduk (anche se in quel tempo, Inanna/Ishtar aveva assunto nel pantheon una posizione ben più importante).
Franco D’Agostino, archeologo e ricercatore in Assiriologia presso il Dipartimento Italiano di Studi Orientali dell’Università La Sapienza di Roma, che ha condotto le ultime missioni archeologiche a Eridu (oggi Tell Abu Shahrain), specifica che la città era la più antica della Mesopotamia, fondata nel 5500 a.C. nel sud del paese come «sede di una delle divinità più importanti del pantheon mesopotamico, il dio della saggezza e degli scongiuri Enki, e il suo tempio, chiamato in sumerico E’abzu (tempio delle acque sotterranee) fu uno dei centri religiosi più importanti per l’intera storia mesopotamica».
L’antichità di Eridu è confermata anche da Pietro Mander, assiriologo presso l’Università di Napoli l’Orientale, che rammenta come nel sito le fasi Ubaid siano documentante da un edificio sorto e ricostruito quattordici volte sulle rovine dello strato precedente, nel VI e V millennio a.C., nel punto esatto dove si troverà la ziqqurat di E-engura, il grande tempio del dio Enki: «È noto lo spirito di conservazione degli antichi mesopotamici, che consideravano l’area consacrata, su cui si edificava il tempio di una divinità, inviolabile e quindi non destinabile ad altro uso se non per edifici dedicati alla divinità stessa: considerazione questa che costituisce un forte indizio per ipotizzare l’esistenza del culto del dio Enki fin da quelle lontane epoche […] Dal livello più arcaico, ogni riedificazione comportava un aumento delle dimensioni del tempio».
La ricercatrice Alessia Birri, sempre a proposito dell’antichità di Eridu, aggiunge che i livelli archeologici risalenti alle prime costruzioni in mattoni del 5000 a.C. testimoniano lo sviluppo di edifici cultuali con l’edificazione di piccole cappelle in cui si svolgevano i rituali: «Verso il 2000 a.C. la città iniziò a cadere in abbandono, anche se continuò, in modo marginale, ad essere abitata per un certo periodo successivamente, fino ad essere completamente abbandonata nel 600 a.C. Gli scavi […] portarono alla luce ben 19 livelli archeologici che hanno consentito di evidenziare una lunga sequenza cronologica che giunge fino alle dinastie preistoriche. In particolare l’antico tempio di Enki venne restaurato da Ur Nammu (circa 2000 a.C.), Re babilonese della terza dinastia di Ur».
Questo luogo di culto, unico nel suo genere per la sua architettura sacra, fu condiviso in seguito con il dio babilonese Marduk (l’Asarluhi sumero), figlio di Enki, una divinità solare spesso collegata alle acque, il cui credo fu istituzionalizzato sotto il regno di Hammurabi, quindi dal XVIII secolo a.C.
L’importanza di Eridu è attestata anche dal fatto che almeno due Anunna, tra le sette divinità sumeriche superiori, avessero sede proprio in questa città.
Per quel che concerne il termine Anunna, l’assiriologa Nicole Brisch dell’Università di Copenhagen, sulle pagine on line dell’AMGG project, chiarisce che il termine appare per la prima volta nel periodo post-accadico, in particolare in alcune iscrizioni di Gudea e in alcuni testi Ur III: «Nelle sue forme accadiche Anunnaku e Anunnaki continuano a verificarsi fino al periodo seleucide […] Il termine Anunna indica un gruppo di divinità nel pantheon mesopotamico. Successivamente, viene talvolta usato per descrivere gli dei degli inferi (in contrapposizione agli dei del cielo, gli Igigi). In alcuni casi, Igigi sembra avere lo stesso significato che Anunna aveva nei testi sumerici. Sembra che ci fosse una certa confusione che circonda questi termini già nell’antichità. Nel Poema di Erra gli Igigi sono chiaramente separati dall’Anunna. Manca ancora uno studio recente e completo sul termine Anunna; tale studio è reso più difficile dal termine con significati leggermente diversi in periodi di tempo diversi. Nel corpus testuale sumerico, Anunna (accadico: Anunnaki, Anunnaku) descrive gli dei più alti del pantheon mesopotamico, ma può anche essere usato per indicare il pantheon di una particolare città o stato-città, come l’Anunna di Eridu o l’Anunna di Lagaš […] Non è chiaro quanti dei e quali dei particolari includa questo termine; un testo parla dei ‘cinquanta Anunna di Eridu’ […]. Una delle funzioni principali degli dei Anunna era quella di decidere i destini […], come attestato, ad esempio, nel mito sumero Enki e l’Ordine mondiale […]. Tuttavia, già nelle fonti sumere gli Anunna sono talvolta associati al mondo infernale, come evidenziato dal mito Inana’s Descent into the Netherworld, in cui i sette giudici Anunna emettono il giudizio sulla violazione di Inana nel mondo infernale».
Può essere di supporto alla comprensione anche quel che scrive Alessia Birri, riferendosi alle divinità Anunnaki: «In epoca sumera il loro nome era semplicemente Anunna (tradotto come ‘Progenie di Principi’), ed è in epoca accadica che viene aggiunta la desinenza ‘ki’, ma siccome non è concepibile un errore da parte dei trascrittori accadici nei confronti della lingua sumera, che era molto meno complessa, ne consegue che la desinenza ‘ki’ definisse realmente la natura delle divinità in questione, come coloro che soprintendevano al cielo (AN) e alla terra (KI), ovvero i Principi (o più precisamente ‘Principii’ o Archetipi) da cui scaturiva ogni elemento cosmologico con il suo parallelo psichico».
Eridu, come molte altre città-stato mesopotamiche, subì, secondo il racconto della Bibbia, la punizione di Dio perché gli uomini adoravano altri dèi. Per esempio, la Babilonia castigata dal Signore era lo specchio dei tempi, con 53 templi dedicati a diverse divinità e 55 cappelle in onore del solo dio Marduk; altre 300 cappelle erano riservate ad altrettante divinità della terra mentre addirittura 600 per quelle del cielo.
La “grande lista” babilonese di divinità, trovata nella biblioteca di Assurbanipal, come ricorda l’assiriologo Jean Bottero, comprendeva complessivamente più di 2500 nomi divini, anche se una buona parte di questi sono da intendersi come epiteti descrittivi di una stessa divinità.
Prima del decisivo avvento di Marduk, assimilabile in quello che sarà poi Zeus per i Greci e Giove per i Romani, tutte le altre divinità godevano di grande spazio, con cerimonie e processioni.