Gli enigmatici manufatti di cui ci occupiamo oggi sono stati rinvenuti nel meridione del Costa Rica a partire dagli anni Trenta del secolo scorso, durante i lavori di disboscamento promossi dalla multinazionale United Fruit Company per far posto a piantagioni di banano.
Centinaia di sfere di pietra interrate a una profondità di oltre un metro (forse sprofondate per l’eccessivo peso), così rimaste chissà per quanto tempo, sono riemerse dal delta del fiume Diquis, dalla zona di Palmar Sur, a trenta chilometri dalla penisola di Osa, nella cittadina di Bolas (che in spagnolo significa Palle o Sfere) e sull’Isola del Cano, porzione della riserva biologica del Parco Nazionale di Corcovado, considerata sacra nelle tradizioni indigene.
Le misure di questi manufatti rasentano la perfezione (con uno scarto di appena qualche millimetro), con un diametro che varia da cinquanta centimetri a due metri circa e un peso oscillante da trenta chilogrammi a oltre venti tonnellate.
Alcune sono realizzate con il granito proveniente da una cava distante cinquanta chilometri dalla foce del Diquis, altre con la coquina, una roccia sedimentaria di origine calcarea estremamente morbida, reperibile sui fondali del fiume, facile da rimuovere e tagliare, semplice da trasportare.
Ancor oggi nessuno è in grado di stabilire con certezza a quale epoca possano risalire le Bolas. Stime prudenti, determinate dal contesto stratigrafico e dagli artefatti associati (si vedano in proposito i lavori pubblicati dagli archeologi Doris Z. Stone nel 1943 e Samuel K. Lothrop nel 1963), assegnano ai manufatti un periodo non antecedente al 200 d.C.
John W. Hoopes ritiene che in quella zona poteva essere giunta dall’attuale Colombia la civiltà Chibcha, anche se il rinvenimento di alcuni frammenti di ceramica rimanda a quella Chiriquí, attestata a Panama.
Qualcun altro si spinge oltre regalando alle sfere ben altra paternità, quella che dovrebbe essere la civiltà globale scomparsa con l’ultima glaciazione: asserzione affascinante ma difficile da provare.
A parte la datazione, il metodo C-14 è chiaramente fuori gioco, c’è da far luce anche sulla tecnica di realizzazione e soprattutto sul motivo che può aver indotto i costruttori a scolpirle.
Purtroppo nessuno di questi manufatti riporta segni che possano far pensare a una scrittura e questo lascia il campo libero a ogni ipotesi, tanto più se consideriamo le capacità tecniche all’origine della realizzazione (levigazione di buona fattura e proporzioni geometriche quasi perfette), sicuro indice di conoscenza dei principi matematici.
Almeno duecento di queste sfere sono tuttora conservate al Museo National de Costa Rica a San José ma tante altre sono sparse in piazze e giardini privati.
Una ventina d’anni fa i funzionari del Museo ne hanno trasferite ottanta a San José, nella penisola di Osa, in prossimità del luogo in cui furono dissotterrate. In questo progetto di conservazione del patrimonio locale il merito va riconosciuto anche alla Fondazione Landmarks che ha cercato di preservare le sfere dal deterioramento indotto dalle variazioni di temperature e dai danni provocati dall’acqua d’irrigazione, ma per molte sfere non c’è nulla da fare poiché gli indigeni, dando credito ad antiche tradizioni, le distruggono convinti che all’interno ci sia nascosto dell’oro.
Nel secolo scorso l’archeologo Samuel K. Lothrop nel tentativo di ricostruire l’ubicazione originaria delle sfere, grazie alle testimonianze dei nativi arrivò ad annotare sulle carte un percorso che in linea d’aria poteva arrivare alle isole Galapagos e a Rapa Nui. Secondo lui le sfere rappresentavano le stelle che, allineate con le costellazioni, indicavano le rotte ad antesignani marinai: ogni pietra rappresentava una stella in un dato giorno dell’anno e l’allineamento delle pietre con gli astri forniva la rotta da seguire.
Qualcosa del genere narrava anche il medico David Henry Lewis, noto per i suoi studi attorno ai sistemi tradizionali di navigazione, quando asseriva che i Teuvitas, gli antichi polinesiani, insegnavano ai figli a distinguere quelle stelle che potevano fungere da punti di riferimento per raggiungere terre lontane.
Fatto sta che nel podere “Il silenzio”, a Palmar Sur, quattro sfere, ancora collocate nella posizione originale, formano un quadrilatero con direzione Nord Sud. Sarà solo una coincidenza ma qui è stata trovata la pietra sferica più grande, con un diametro di oltre due metri.
Lo studioso Ivan Zapp, riprendendo gli studi di Stone e Lothrop, riuscì a tracciare una rotta mettendo in relazione Uvita (a nord della Sierra Bruquena, sulle coste dell’Oceano Pacifico) con l’omonima isola dell’Atlantico, di fronte a Puerto Limòn. Poiché anche lì erano state ritrovate sfere di pietra, ventilò l’ipotesi che le pietre, in origine, avessero un rivestimento luccicante visibile dall’alto, tanto da costituire un sistema di segnalazione direzionale.
Questa ipotetica via incrociava, oltre la cittadina di Bolas, anche il Cerro Chirripò (“terra delle acque eterne”), con i suoi 3.800 metri il monte più alto del Costarica, dove c’è un sentiero denominato “del camposanto della macchina dell’oro”: alcune tradizioni lo indicano come il luogo di sepoltura di una macchina volante.
Il ricercatore locale Ricardo Lopez, grazie alla fotografia aerea, afferma di aver individuato sette cittadine sotterranee nel nord del Costarica, collegate tra loro da una rete di strade larghe sessanta metri che anticamente dovevano essere visibili solo dall’alto, come le linee di Nazca. Una di queste vie, in linea retta, conduceva di nuovo alle Galapagos e a Rapa Nui.
In questo caso le sfere potevano rappresentare una rete di marcatori attraverso una densa foresta: in alcune palle analizzate nel 1976 è stato possibile accertare un residuo rivestimento di calce che potrebbe anche far pensare, appunto, alla funzione di segnalatori luminosi.
Di là da quel che pensano Ivan Zapp e Ricardo Lopez, che forse con l’immaginazione si sono spinti oltre il buon senso, altri ricercatori sono più propensi a vedere nelle sfere, quand’erano nella loro posizione originale, una rappresentazione artistica di corpi celesti o intere costellazioni, insomma delle mappe astronomiche.
Partendo dal presupposto che la zona del ritrovamento delle sfere è occupata da foreste pluviali tropicali, non pare accettabile nemmeno l’ipotesi di un sistema direzionale perché non sarebbe stato visibile, nemmeno dall’alto.
Infine, non mancano gli scettici che attribuiscono l’origine delle pietre sferiche a globi di magma che, eruttati da un vulcano, si sono poi solidificati in quella forma, mentre altri chiamano in causa un naturale processo di erosione (come accertato per le sfere sulla spiaggia di Moeraki in Nuova Zelanda).
Tuttavia l’accurata sfericità dei manufatti rinvenuti in Costa Rica il secolo scorso e quel che dovevano rappresentare rimane un’incognita. Meritevole di altri approfondimenti.