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La giornalista Gaby Weber, in un’inchiesta del 2005, suggeriva come Perón ed Evita avessero riciclato buona parte di quanto accumulato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, più di un miliardo di dollari, utilizzando il Banco Central de la Republica Argentina e altre banche elvetiche. Weber avanzò l’ipotesi che il riciclaggio avvenne, a partire dal 1951, anche con la compiacenza della filiale Mercedes Benz in Argentina.
È qui che entra in gioco un sicuro protagonista della vicenda, tal Jorge Antonio Chibene, un venditore di automobili di Buenos Aires, che con la sua Aguirre, Mastro y Compania rappresentava Mercedes Benz e General Motors prima del 1945.
Lo scaltro uomo d’affari, da sempre vicino alla famiglia del presidente Perón, di cui era amico, consulente e consigliere, lavorò negli anni Cinquanta alle dipendenze di note multinazionali tedesche che producevano in Argentina autocarri, macchine agricole e motori. Tra queste l’Hannoversche Maschinenbau AG (Hanomag, dal 1934 al 1945 acquisita dalla Vereinigte Stahlwerke-VST, la Deutz AG (Fahr SA) e appunto la Mercedes-Benz (Daimler-Benz AG).
Perón e Jorge Antonio si conoscevano dal 1943, e l’ascesa al potere dell’amico, permise all’imprenditore, oltre a coordinare il Primo Piano quinquennale promosso dal presidente, di essere il naturale collegamento tra l’Argentina e la grande industria tedesca. Diversificò le proprie attività, investendo i profitti in altri settori produttivi con la società finanziaria Investa SA, acquistando immobili e azioni e addirittura una banca; arrivò ad accumulare fortune stimate negli anni Sessanta in più di duecento milioni di dollari.
Jorge Antonio impiegava regolarmente nelle sue concessionarie decine di nazisti fuoriusciti dall’Europa, tra cui anche Adolf Eichmann.
Costretto alla fuga dopo la caduta di Perón nel 1955, con tutte le aziende confiscate dal nuovo governo, Jorge Antonio riparò in Cile, a Cuba e infine in Spagna, ove continuò comunque ad appoggiare il movimento peronista. Riuscì a rientrare in Argentina nel 1977, poiché nel frattempo era diventato amico anche del nuovo presidente Carlos Saul Menem.
Le fortune di Jorge Antonio s’incrociarono inevitabilmente anche con il tesoro accumulato dai nazisti, che nel dopoguerra transitò dalla Germania all’Argentina grazie alla compiacenza delle banche svizzere.
Fu Wilhelm Haspel, presidente del consiglio di amministrazione della Daimler-Benz AG, che dette il beneplacito per la costituzione della filiale in Argentina nel 1951, utilizzando parte dei fondi transitati al Banco Central de la Republica Argentina come ‘prestiti’ provenienti dalla Svizzera, affidando le redini dell’azienda a Jorge Antonio.
Il braccio destro di Antonio era l’amico Francisco Coire, con un passato di studente ad Harvard, sospettato di passare informazioni all’FBI tramite l’ambasciata statunitense di Buenos Aires, che lavorava al Banco Central de la Republica Argentina.
È proprio il bancario a rivelare a Gaby Weber che il capitale tedesco per quell’investimento era costituito da «soldi nascosti durante la guerra. Molto capitale è stato esportato da tutti i paesi occupati, denaro nascosto prima o durante la guerra o investito in paesi terzi. Pertanto non è stato difficile ottenere questi fondi da questi paesi dopo la guerra. Sono stati usati per pagare le bollette per le esportazioni. Daimler Benz ci ha presentato un’approvazione certificata da parte del governo tedesco».
In realtà, come confermato da Antonio, più che soldi, arrivarono macchine che ben presto si rivelarono obsolete e superflue. Tra i membri fondatori della concessionaria ci furono anche il cognato di Antonio, Cesar Rubin, Atilio Gomez e soprattutto German Timmermann, che secondo Weber negoziò «l’accordo commerciale tedesco-argentino con il ministro dell’economia Ludwig Erhard nel luglio 1950, la base giuridica della società di riciclaggio. Il riciclaggio di denaro è nelle mani di Daimler Benz a Unterturkheim: Wilhelm Haspel, Fritz Konecke, Karl Friedrich Binder, Arnold Wychodil e Hanns-Martin Schleyer».
E fu questo Binder, secondo Antonio, a chiedere che fossero assunti i connazionali nazisti in fuga. Weber ricostruisce che il denaro veniva riciclato con fatture gonfiate, denaro di contrabbando e sfruttando la differenza tra i tassi di cambio ufficiali e paralleli: maggiore era l’esportazione, maggiore era il prezzo d’acquisto e il reddito dei tedeschi; più efficiente era il riciclaggio di denaro, maggiore era il flusso di capitale nei bilanci della società a Unterturkheim, mascherato in qualche modo dal pagamento delle fatture all’esportazione.
Il fratello di Antonio, Ruben, dirigeva in Svizzera la società finanziaria Conex, inizialmente argentina ma poi trasformata in società pubblica, iscritta con prestanome nel registro commerciale svizzero.
La giornalista ritiene che con la sola filiale Mercedes Benz in Argentina, ci fu complessivamente un investimento attorno ai cento milioni di dollari. Weber è inoltre convinta che Jorge Antonio, in quel decennio, fu destinatario di ulteriori, ingenti somme di denaro da parte di altre società tedesche, tra cui Thyssen, Mannesmann, Klockner, Korff, Siemens, Schering e Bayer. Queste società, a differenza di Daimler Benz, erano state sequestrate nel 1945 e non potevano più operare in Argentina, ma con l’intervento di Antonio tornarono in piena efficienza.