La cultura Paracas, influenzata da quella di Chavin, si sviluppò tra l’800 a.C. e il 100 d.C. nell’omonima penisola dell’odierna regione di Ica. Il nome deriva dai forti venti “paraqa” che soffiano in continuazione.
Il primo a parlare di questa civiltà fu l’archeologo Julio Tello, che nel 1925 iniziò a scavare un paio di necropoli di Paracas: le centinaia di mummie rinvenute intatte, accompagnate da splendide offerte per il corredo sepolcrale ritenuto necessario per il viaggio nell’aldilà, stupiscono per la cura riservata ai defunti.
Un vero e proprio culto dei morti praticato, almeno nella prima fase e fino al II secolo a.C., con sepolture chiamate cavernas, tombe collettive ricavate in pozzi cilindrici posti all’interno di cavità artificiali sotterranee, ricoperte da sabbia, che immettono in caverne.
Come spiega l’antropologo Mario Polia “l’eccezionale secchezza del clima assicura una conservazione spesso perfetta di tessuti e parti organiche”. Gli fa eco il collega Antonio Aimi sostenendo che “…la sabbia, il terreno ricco di sale e la totale mancanza di piogge hanno conservato quasi perfettamente i corredi funerari delle tombe della penisola [di Paracas].”
Il sito archeologico di Pena de Tajahuana, scoperto nella valle di Ica, è oggi considerato il più importante centro urbano dei Paracas.
Quello che oggi è un arido deserto, un tempo era una fertile terra che permetteva l’insediamento produttivo di genti particolarmente abili nell’arte della tessitura, che richiamava invariabilmente elementi antropomorfi legati a rituali di culto. Il fenomeno de El Nino ha comunque influenzato negativamente il clima di buona parte della zona costiera dell’Oceano Pacifico meridionale.
I Paracas, assieme ai Mochica e ai Nazca, erano maestri non solo nella produzione di tessuti (per esempio i mantelli con i ricami di figure antropomorfe), ma anche abili nell’arte della ceramica incisa e policroma, sviluppatasi nella seconda fase “Paracas-necropoli”.
Nei lavori in tessitura dei Paracas, già presente nella prima fase “Paracas-cavernas”, sono state trovate fino a 190 sfumature diverse, realizzate attraverso la combinazione di sette colori di base. La qualità dei tessuti, le tecniche di ricamo e la complessità di quanto raffigurato, suggeriscono che gli artigiani Paracas fossero degli specialisti in materia, istruiti anche sul contenuto simbolico dei disegni.
Antonio Aimi aggiunge che “…il tessuto rappresentava il significante privilegiato per rappresentare l’identità sociale e culturale. Nella cultura Paracas, tuttavia, l’enfasi sul tessuto raggiunse livelli mai più toccati nelle culture posteriori”.
Prima ancora dei Nazca furono i Paracas a cimentarsi nella realizzazione d’impressionanti linee tracciate sul terreno della Valle di Chinca: almeno duecento anni prima, come riferisce l’antropologo Charles Stanish dell’Università di Chicago, i Paracas oltre a collocare centinaia di tumuli di roccia e formare con le pietre cerchi e rettangoli, disegnarono una settantina di linee in aree destinate al culto.
Alcune di queste linee potrebbero avere valenza astronomica, poiché convergono nel punto in cui il sole sorge durante il solstizio d’estate. Altre sembrano indicare luoghi particolari del paesaggio; Stanish sostiene che “… le linee sono una sorta di tecnologia sociale. Venivano usate per determinati scopi. Alcuni pensano che le linee indichino la direzione delle montagne sacre, così come indicare strutture sacre come le piramidi”.
Il tridente (o candelabro) alto 213 metri, disegnato sul lato di una montagna nella baia di Paracas, in riva al Pacifico, secondo la leggenda è assimilabile al parafulmine del dio Viracocha, venerato in tutta l’America meridionale seppur con altri nomi (anche in Mesopotamia il dio della tempesta, noto ai Sumeri come Ishkur, è effigiato con il tridente in mano).
Il disegno del tridente è stato realizzato scavando il terreno per almeno mezzo metro: nonostante quel lato della montagna sia esposto al vento, questo non porta polvere o sabbia.
I bracci laterali del candelabro, come verificato dal ricercatore Guillermo Illescas, sono orientati con la costellazione della Croce del Sud, una delle più brillanti del cielo australe e da sempre un sicuro punto di riferimento di cui i marinai hanno tenuto conto per i viaggi in mare.