Dopo aver scritto dei misteri del lago Titicaca, torno a occuparmi in maniera approfondita di Tiahuanaco, il sito della valle del Rio Tiahuanaco in Bolivia, a un’altitudine di 3750 metri, di cui ho scritto anche nei Misteri delle culture precolombiane (Cerchio della Luna, 2017). L’agglomerato, un tempo, si trovava sulle sponde del lago Titicaca (oggi distante venticinque chilometri), si presume a 180 metri di distanza, poi col tempo si allontanò progressivamente per il continuo abbassarsi del livello dello specchio d’acqua. Ancora oggi questo processo continua. Si calcola che nel corso dei secoli il livello del lago si sia abbassato di quasi trentacinque metri.
Tiahuanaco letteralmente significa Luogo dove si congiungono terre ed acque ma può essere tradotto anche nel Paese sotto l’acqua di Dio, La città del Sole e dell’acqua e La città eterna dell’acqua. Nelle cronache passate era chiamata Chuquiyutu e il cronista spagnolo Gonzales de la Rosa nel XVI secolo così commentava un manoscritto inca sulle origini della città: “…La città era completamente sotterranea e in superficie non c’era che il cantiere per tagliare le pietre e il villaggio degli operai… La città sotterranea darebbe la chiave di una straordinaria civiltà che risale a tempi lontanissimi”.
I suoi ruderi si estendono per 450 chilometri quadrati, tanto da far pensare che attorno a questo centro, che come sempre è definito “cerimoniale”, ci fossero interi quartieri abitati. Come hanno dimostrato le rilevazioni fotografiche effettuate dall’alto, ci troviamo di fronte a un grande agglomerato urbano, con attorno una serie di siti secondari (Lukurmata, Pajchiri, Khonko e Wankani). La città è particolarmente danneggiata e si presume che questo sia avvenuto a seguito di un grande cataclisma che avrebbe elevato la Cordigliera delle Ande alla sua attuale altitudine. Nel corso degli anni, poi, soprattutto durante la dominazione spagnola, i monumenti furono danneggiati da vandali e piccoli oggetti di valore furono trafugati. Infine, numerose pietre furono “prelevate” e utilizzate per la costruzione di edifici a La Paz.
Riconosciamo almeno quattro zone di particolare interesse: l’Akapana, il Kalasasaya, il Tempio semisotterraneo e Puma Punku.
L’Akapana (in lingua locale aymarà, considerata una delle più antiche del mondo, è una parola formata da Hake, “persone-uomini” e Apana, “perire”, quindi è sintomatico tradurre il termine nel luogo in cui gli uomini muoiono; gli indigeni la chiamano anche Montagna artificiale) in origine era una piramide a gradoni ricoperta di blocchi d’andesite e oggi appare come una collinetta tronca a forma irregolare; si distinguono sette terrazze per un’altezza di quindici metri circa e i suoi blocchi pesano cento tonnellate circa. Probabilmente è la struttura più antica di Tiahuanaco. Si sa che i costruttori utilizzarono strumenti costruiti con una lega molto resistente (qualcuno di questi è stato anche rinvenuto) e colavano rame, piombo e bronzo fusi tra una pietra e l’altra, tanto da creare una coesione incredibile.
Al centro c’è una depressione (che oggi raccoglie acqua piovana ed è la conseguenza degli scavi praticati nel cuore del monumento dai cacciatori di tesori) e all’interno una serie di piccoli canali di pietra rivestiti d’argilla, con funzioni di scolo, che procede a zigzag. Tale sistema poteva essere anche una fognatura che serviva per raccogliere l’acqua piovana e convogliarla verso il Rio Tiahuanaco e il lago Titicaca. Infatti attorno alla depressione c’erano blocchi di pietra che un tempo, stando alla ricostruzione ipotizzata, formavano un pozzo a forma di croce che alimentava i canali interni.
L’archeologa Linda Manzanilla, che ha condotto campagne di scavo a Tiahuanaco, spiega che “il sistema idraulico è una delle cose più sofisticate che ho visto nella mia esperienza di archeologa. Da qui partivano canali per la somministrazione di acqua ai differenti ambienti della piramide.”
A partire dal 600 d.C. questo complesso sistema di raccolta delle acque terminò di funzionare, dato che da quel periodo sono stati rinvenuti, sepolti all’interno dei canali, esseri umani e animali. Rone Noorbergen in I segreti delle antiche razze (1978) ci racconta che la collina ove sorge l’Akapana rileva “ancora tracce della precisione dei progetti, con condutture di pietra accuratamente tagliate e tubi di troppo-pieno, opportunamente graduati per garantire il più opportuno flusso d’acqua. Tubi simili si trovano sparsi in tutto il complesso di Tiahuanaco, facendo pensare che la città godesse di un completo sistema di drenaggio e di riserve idriche, cioè di ottime fognature.”
La piramide, come ha riferito Osvaldo Rivera, già direttore dell’Istituto nazionale Boliviano d’Archeologia, ha almeno un passaggio sotterraneo che conduce a una specie di camera, oggi purtroppo in completa rovina. Le intuizioni di Rivera vanno ben al di là di un unico passaggio; egli è convinto che la figura di Viracocha, effigiata sulla facciata orientale della Porta del Sole, contenga in basso una sorta di pianta della piramide dell’Akapana, con una camera centrale raggiungibile tramite 8 passaggi differenti, di cui 6 a forma di serpente con terminazione a testa d’uccello o di leone. All’interno della camera dovrebbe esserci un animale raggomitolato, un drago o un serpente.
Per saperne di più dell’Akapana, dobbiamo ancora una volta rifarci alle esplorazioni dal 2006 al 2009 dell’Akakor Geographical Exploring e alle parole del presidente Lorenzo Epis: “…dell’antico tempio solo due file parallele di pilastri, tuttora semisepolti, restano a indicare la posizione di quello che era probabilmente uno dei due ingressi principali, precisamente orientati verso il sorgere ed il calare del sole… [durante le missioni precedenti] sono stati ripercorsi dopo 4000 anni i tunnel situati all’interno della piramide… sono stati recuperati alcuni manufatti, raccolti campioni di stalattiti per essere esaminati e datati ed infine è stato installato al centro del tunnel principale un apparecchio elettronico (data logger testo) che registrerà per un anno una serie di dati quali movimento, temperatura umidità… sono stati effettuati rilievi, immagini digitali e filmati allo scopo di poter definire un modello in 3D per una miglior definizione architettonica della struttura… Il tunnel principale presenta a circa due terzi del suo sviluppo una rottura causata probabilmente da un forte evento sismico, e nella parte finale verso l’esterno della piramide, una grande quantità di depositi argillosi che ci hanno impedito la prosecuzione… [nel 2009] si è potuto esplorare il secondo tratto del tunnel principale, scendendo di altri due livelli, aggiungendo altri cinquanta metri di sviluppo… sono stati individuati due nuovi tunnel… che anche grazie alle ricostruzioni in 3D ed a oggetti rinvenuti, stanno concretizzando la teoria che all’interno della piramide esistano delle camere segrete, le quali potrebbero contenere dei veri e propri tesori, scampati al saccheggio dei conquistadores.”
Il Kalasasaya (“Posto delle Pietre Verticali”) o Grande Tempio del Sole sorge a fianco dell’Akapana, alla fine della strada più importante del sito. È un edificio monumentale costituito da una piattaforma rettangolare piramidale i cui lati misurano rispettivamente 130 e 150 metri. L’area è delimitata da statue che raffigurano volti di razza caucasica, negroide, asiatica e semitica. Un tempo erano presenti, stando ai resoconti degli spagnoli risalenti al XVI secolo, altri monoliti riproducenti animali, giganti e divinità fantastiche. Garcilaso de la Vega riferiva che vi erano ancora, alla sua epoca, almeno due giganti di pietra muniti di copricapo e di lunghi mantelli. Nel 1903 una delle prime spedizioni archeologiche trovò disteso a tre metri di profondità nel recinto del santuario un idolo alto ben sette metri, il più grande di quelli qui rinvenuti. Nelle terrazze cerimoniali trovano posto ancora oggi delle statue di pietra con un insolito profilo.
Ad esempio la più famosa, alta un metro e ottanta centimetri, è quella denominata “El Frayle” (il frate) che sembra rappresentare una divinità o un sacerdote. Ha occhi e labbra enormi, nella mano destra stringe una specie di coltello ondulato mentre nella sinistra reca qualcosa che ricorda un libro munito di sigilli. Nella parte sottostante si riconosce una veste formata da squame di pesce e piccole teste stilizzate di pesci nonché una cintura con immagini riproducenti animali marini. Purtroppo i glifi presenti sul monolite non sono stati decifrati.
In un angolo del Kalasasaya, rivolta a levante, c’è la “Porta del Sole”, di cui abbiamo già discusso. Alle spalle del Kalasasaya trova posto un piccolo tempio seminterrato a forma rettangolare, definito semisotterraneo perché incassato nel terreno rispetto all’intero sito: qui è stata rinvenuta, tra le altre, una stele alta circa due metri che rappresenta il dio barbuto Viracocha, con le braccia incrociate che si erge su due figure feline, attorniato da serpenti e altre specie di animali ormai estinte tra cui il Toxodonte (una razza d’ippopotamo). L’immagine di quest’animale è stata rinvenuta anche su alcuni frammenti di vasellame di Tiahuanaco. Altri animali estinti raffigurati sul vasellame e in sculture rinvenute negli scavi archeologici della città sono il Shelidoterium, un quadrupede diurno, e il Macrauchenia, una specie di cavallo con zampe tridattile.
Sulle pareti del tempio si trovano, incastrate tra le pietre e scolpite in arenaria, centinaia di teste riconducibili ad etnie diverse tra loro, alle quali non si è riusciti ancora a dare un significato plausibile. Sono simili alle cabezas clavas di Chavìn de Huàntar, come d‘altronde i fregi e i rilievi che troviamo incisi nella Porta del Sole: da qui le contrastanti teorie concernenti le strane affinità esistenti in monumenti così lontani nello spazio e nel tempo.
A circa un chilometro e mezzo in direzione sud ovest c’è quel che rimane del tempio piramidale denominato Puma Punku, da tradurre in “La porta del puma”. Lo spettacolo è desolante perché la maggior parte delle pietre ci appare abbandonato, il risultato di una catastrofe naturale o qualcosa di simile. Vicino alla strada per Puno, cittadina sul lago Titicaca, all’estremità nord ovest della zona degli scavi, sulla terza piattaforma della piramide si scorgono ancora oggi i resti di una grande porta, detta “La Porta della Luna”. Notevole anche una delle piccole porte dedicate al dio Puma.
Si ritiene che Puma Punku fosse il porto di Tiahuanaco sul lago Titicaca. Durante gli scavi furono rinvenuti due bacini dragati artificialmente su entrambi i lati di una banchina. Anche qui, come d’altronde a Lucurmata vicino al Titicaca, si riscontrano tracce di un efficiente sistema idrico. Alcune pietre hanno delle nicchie e delle scanalature, altre i segni lasciati da morsetti in metallo che erano utilizzati per tenere assieme più pietre. Alcuni di questi morsetti di bronzo (lega sconosciuta all’epoca in quella zona) stando ad alcune fonti sarebbero stati anche rinvenuti ma se ne sono perse le tracce e non si riesce a comprendere dove siano conservati. L’analisi spettrografica di una di queste morse ha stabilito che si tratta di una lega davvero insolita, che avrebbe avuto bisogno di essere lavorata a temperature altissime, con la presenza, oltre soprattutto al rame e all’arsenico, del nickel: questi arpioni metallici sembrano identici a quelli utilizzati nei palazzi costruiti dagli Assiri in Mesopotamia.
Tiahuanaco, per le prove finora raccolte, sembra essere proprio una città marittima, poi sbalzata con la Cordigliera delle Ande, all’attuale altitudine da una catastrofe avvenuta presumibilmente attorno al 10.000 a.C. Un esame incrociato dei materiali utilizzati a Tiahuanaco e dei tipi di roccia presenti nelle montagne del Perù e della Bolivia, considerando anche che alcuni utensili di pietra sono stati rinvenuti nei pressi del Titicaca, ha permesso di accertare che le cave originarie distano da cento a trecento chilometri. Rimane da chiarire quindi come abbiano fatto i costruttori della città ad effettuare il trasporto di pesanti monoliti per distanze consistenti e su un terreno altamente accidentato. Aggiungiamo che stando alle nostre odierne conoscenze non potevano disporre di animali atti al trasporto e non conoscevano la ruota.
Per quel che riguarda la presenza umana all’interno del complesso, si può dire che la parte più antica risale al 200 a.C. – 200 d.C. con chiara influenza della civiltà Pucara, una cultura peruviana dell’epoca. Tra il 500 e il 900 d.C. inizia il periodo di maggior splendore della città, che si protrae per circa trecento anni con l’espansione fuori dell’altopiano fino ad Ayacucho sulla sierra e Pacheco sulla costa meridionale del Perù. Secondo la tradizione anche Machu Picchu, Vilcabamba e Pisac sarebbero stati luoghi fortificati della gente Colla (cioè Aymarà).
Questa civiltà, all’incirca contemporanea di quelle di Nazca e di Moche, scomparve poi misteriosamente. Quando giunsero gli Incas trovarono il luogo distrutto e completamente deserto e per tale ragione è impossibile risalire alla sua età. C’è da dire, in ogni caso, che le attuali rovine poggiano su resti di costruzioni ancora più antiche, come d’altronde capita per altre enigmatiche località (si pensi ad esempio a Teohtiuacan).
Gli scavi archeologici condotti da Carlos Ponce Sangines, coadiuvato da altri colleghi, hanno permesso di determinare l’esistenza di almeno cinque città, che sono sepolte assieme ai resti di animali estinti. Le stratificazioni dimostrano che ogni volta si verificò un cataclisma e a distanza di tempo si tornò a edificare di nuovo.
La datazione degli insediamenti umani, col metodo del radiocarbonio, ci fornisce una data approssimativa tra il 1600 e il 2100 a.C. Negli anni Trenta del secolo scorso Rolf Muller, professore di astronomia dell’Università di Potsdam, analizzando le variazioni astronomiche nel corso dei secoli calcolò per il Kalasasaya un orientamento che poteva risalire a un periodo compreso tra 7.000 e 14.000 anni prima. Si trattava della stessa ipotesi avanzata, non senza esagerare, da Posnansky; recentemente anche Neil Steede, esaminando il Kalasasaya dal punto di vista astronomico, è arrivato alla conclusione che le pareti interne furono costruite nel I secolo a.C. mentre quelle esterne nell’XI millennio a.C.), facendo risalire la costruzione all’incirca al 12.000 a.C.
Gli animali effigiati sulla stele di Viracocha e sulla Porta del Sole, di cui abbiamo già fatto rapido cenno, risultano estinti dodicimila anni fa. Finora gli archeologi hanno studiato solamente l’un per cento del sito di Tiahuanaco. Rivera è del parere che la vera città, quella sacra, può trovarsi tra i dodici e i ventuno metri di profondità. La comprensione dell’enigma, stando così le cose, non è davvero dietro l’angolo.
Lo scienziato Ivan Guzman De Rojas, nei primi anni Ottanta del secolo scorso, studiando le proprietà algoritmiche della struttura sintattica della lingua Aymara – idioma del lago Titicaca e dell’antica popolazione di Tiahuanaco -, sviluppò il cosiddetto sistema Atamiri, un programma informatico in grado di eseguire traduzioni multilingue. Il ricercatore determinò che la lingua Aymara presentava delle similarità con alcune lingue del gruppo Kartveliano, a cui appartengono anche i linguaggi semitici e caucasici, per esempio le lingue parlate in Georgia, Turchia, Azerbaigian, Iran, Russia e Israele. Questo gruppo di lingue è uno dei più antichi al mondo, essendo attestato almeno al 6000 a.C. Pur tuttavia, la supposta relazione con questa e altre lingue, secondo la maggioranza dei linguisti, non è stata ancora dimostrata.
Il giornalista Adriano Forgione, direttore della rivista Fenix, anche sulla scorta dell’assunto di De Rojas, suggerì nel 2000 (sulle pagine della rivista Hera da lui diretta) un legame tra Tiahuanaco e le culture mesopotamiche. «[…] Credo che Tiahuanaco sia nell’indagine semantica assimilabile alla parola sumera Tia-Uana-Ki che significa “La dimora dei divini uomini-pesce”, un appellativo che ben si addice ai suoi resti archeologici e alle leggende tipiche di quell’area. Le statue del “Fraile” di Tiahuanaco sono infatti adorne alla base da un motivo a scaglie di pesce che richiama le storie che si raccontavano nei pressi del lago Titicaca circa i Chullua e gli Umantua, uomini dalla coda di pesce, il cui mito richiama ancora proprio la cultura sumera e i suoi uomini pesce, gli Oannes o Uaana. In effetti, la radice Uan che in sumero vuol dire proprio Uomo-Pesce, indicava per questo popolo anche una casta sacerdotale iniziatica, la classe che dirigeva la vita politica e religiosa dell’antichità. […]».
Forgione propone, nella stessa circostanza, l’assonanza tra IN-KA e il dio sumero ENKI: «[…] Gli aspetti di Enki sono rappresentati dal serpente, dalla tartaruga e dall’uomo pesce in quanto è raffigurato come sovrano delle acque […]», tre forme presenti a Tiahuanaco, a possibile conferma dell’esistenza di una comune radice culturale.