Alla scoperta dei giganti, figli di Elohim

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L’articolo che vi propongo oggi, fu pubblicato sulla rivista Hera (nr. 116 – settembre 2009), all’epoca editata da Acacia e diretta da Carpeoro. Si tratta in assoluto del mio esordio nel mondo editoriale, considerato che anche il mio primo libro, ‘Tracce d’eternità’, uscì per l’editore Cerchio della Luna un paio di mesi dopo. Come già fatto in precedenza per altri studi tematici, lo ripropongo così com’è, nella sua stesura originale.

La presenza di esseri con una statura fuori dall’ordinario, dotati, fra l’altro, di una eccezionale forza, è facilmente individuabile in una marea di miti, a partire da quello classico del diluvio universale. Tanto per cominciare, come recita uno scritto rabbinico del V secolo d.C. prima che l’Arca partisse, il gigante di nome Og riuscì ad aggrapparsi ad una scala di corda dell’imbarcazione. Era l’ultimo dei giganti, re di Basan (una località ad Est del fiume Giordano) e di lui ne parla anche la Bibbia.

Se diamo ascolto alla mitologia greca i Titani (questo termine individuava, con precisione, una razza di giganti con l’aspetto veramente selvaggio; al pari dei Ciclopi e degli Ecatonchiri, sono i figli del dio del cielo Urano, concepiti con la dea della terra Gaia, la madre universale della mitologia classica) vivevano all’interno delle grotte e, peculiarità in comune con i Ciclopi, avevano un solo occhio. Ricorderete, senz’altro, quello che dovette sfidare Ulisse in una certa fase del suo peregrinare.

Le antiche cronache li descrivono come dominatori incontrastati della terra nei tempi che furono e, un bel giorno, decisero di ribellarsi agli dèi e agli uomini: non possiamo essere certi sulla ragione del contendere, probabilmente questa razza semi-divina prese coscienza di poter usurpare il potere dalle mani della divinità. Per tale motivo gli dèi deliberarono di punire questa pretestuosa arroganza: da qui, tra i castighi comminati, anche il diluvio di antica memoria.

I Titani, sconfitti, vennero rimpiazzati dai Giganti, nati dal sangue sgorgante da una ferita di Urano, evirato dal figlio Crono, il più giovane tra loro. Crono, per diventare un grande re, divorò i figli avuti dalla sorella Rea, ma, grazie ad uno stratagemma, Zeus si salvò e assunse, col tempo, al rango dell’indegno padre. I Giganti (la parola deriva dal termine sanscrito g’ant-u che significa “animale”) per quanto ne sappiamo, cercarono in tutti i modi, inutilmente, di vendicare i loro predecessori: per questo sono descritti, anch’essi, perennemente in rivolta nei confronti delle divinità.

I Figli di Elohim

Illustrazione di Gustav Dorè de I Giganti incontrati da Dante e Virgilio durante il viaggio all’Inferno nella Divina Commedia

Come vedremo, stando anche agli altri racconti mitologici, i Giganti abitavano la Terra migliaia di anni prima della nostra era. La nascita di questa razza si può far risalire al momento in cui alcuni dèi decisero di accoppiarsi con gli esseri umani.

Al riguardo, è eloquente quanto contenuto in due passi della Genesi: «Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla Terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero (6,1-2)»; «C’erano sulla Terra i giganti a quei tempi – e anche dopo – quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi (6,4)».

Le dizioni “figli di Dio” e “giganti” non sono altro che la traduzione adottata, ed accettata, del termine Nefilim, presente nella Bibbia ebraica: occorre precisare che, analogamente a quanto già fatto per alcune espressioni in altre pagine, Nefilim andrebbe invece tradotto, correttamente, in “coloro che erano discesi”, ovvero “figli di Elohim” discesi sulla Terra, dove Elohim, incredibilmente, è la forma plurale del singolare ebraico El, Ilu o Eloah: quindi significa Dèi! Almeno questa è l’interpretazione di una nutrita schiera di studiosi che, fuori da schemi classici, si sono cimentati nella traduzione dei testi cuneiformi della civiltà dei Sumeri, analizzando poi i contenuti del libro sacro dei cristiani.

A voler essere precisi, il termine “Elohim” appare ben trenta volte nella Genesi e, addirittura, 2.570 volte in tutta la Bibbia. Per completezza d’informazione, il termine Eloah compare quaranta volte nel Libro di Giobbe. Nefilim si traduce, guarda caso, come il termine Annunaki della mitologia dei Sumeri (Annunaki, infatti, significa “coloro che dal cielo scesero sulla Terra”). I miti ci raccontano, in effetti, di come questa razza si ribellò alle divinità.

Ecco, allora, i giganti che cercano di scalare il monte Olimpo (nella mitologia nordica l’Olimpo si trasforma nella città di Asgard) oppure Tifone che sottrae a Giove i suoi fulmini, poi recuperati grazie all’intervento dell’umano Cadmo che, con il potere della sua musica, riuscì ad addormentare il gigante. Certo, occorre già ora fare dei distinguo per non cadere in confusione.

Per l’effetto della distorsione, alcuni miti prendono infatti a prestito elementi di altri. E’ il caso, ad esempio, di Gog e Magog, i due giganti della Bibbia che rinveniamo inseriti nella mitologia britannica per simboleggiare la potenza di quella gente: infatti, questi e altri titani, sono sconfitti dall’eroe locale Brute (anch’egli, probabilmente, un gigante!); solo i due sono tenuti in vita ma per essere trasformati in pietra e posti all’ingresso del palazzo del vincitore, sul Tamigi.

In tutto il mondo

Oceano, primo figlio di Urano, in una statua rinvenuta a Efeso e risalente al II secolo d.C., oggi conservata presso il Museo archeologico di Istanbul

I messaggeri inviati da Mosè nella Terra promessa (Canaan), come recita la Bibbia nel Libro dei Numeri (13, 32-33), tornarono dicendo di aver incontrato i figli di Anak: «...il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese che divora i suoi abitanti; tutta la gente che vi abbiamo notata è gente di alta statura; vi abbiamo visto i giganti, figli di Anak, della razza dei giganti, di fronte ai quali ci sembrava di essere come locuste e così dovevamo sembrare a loro».

Anche il duello tra Davide e Golia non lascia adito ad altre interpretazioni. La Bibbia, nel Deuteronomio, continua a fare riferimento ai giganti quando parla del letto di ferro lungo cinque metri che si trovava a Rabbath, presso i figli di Ammon: quindi, il giaciglio di un re gigante ormai scomparso.

Di loro si parla anche nella mitologia buddhista dove i giganti sono collegati al mito brahminico della “frullatura del mare di latte”. Nel “Popol Vuh” i giganti sono esseri mitologici (alla pari dei titani) che combattono, con déi ed uomini, una sorta di titanomachia greca: nella mitologia Maya infatti i gemelli Hunahpù e Ixbalanqué, primi Ahau (signori della civiltà del Mais capeggiati da Xibalbà) lottano con i giganti nella guerra dei Camè. I giganti, sconfitti, vengono identificati negli Atlanti di Copàn. Ma un po’ tutti i testi contenuti nel libro sacro dei cristiani e degli ebrei, in particolare l’Antico Testamento, come abbiamo avuto modo di vedere, parlano di questa razza di uomini giganteschi.

A ritroso nel tempo

Ritratto immaginario di Berosso

Servendoci della testimonianza di qualche storico, possiamo cercare di individuare un periodo temporale ove, con ogni probabilità, vanno poste le divinità e, naturalmente a seguire, i giganti, visto che le loro vicende si intersecano amabilmente. Non è comunque semplice allocare, con precisione, tutte le divinità del nostro ancestrale passato, anche perché già è arduo sostenere che queste, al pari dei giganti, siano esistite realmente. Vediamo di capirci qualcosa e lo facciamo chiamando in nostro soccorso le poche cronache che abbiamo a disposizione.

Lo storico Beroso (era anche un sacerdote babilonese, consacrato a Marduk, che ricopiò, in lingua greca nel IV secolo a.C. la famosa Lista dei re, risalente al 2100 a.C. e contenente la storia del suo popolo fin dalla creazione) narra, nei suoi scritti, di dieci mitici re babilonesi che regnarono prima del diluvio: in tutto, secondo il suo parere, si tornerebbe indietro di ben 432 mila anni. Al riguardo, sono incredibili le analogie con la Bibbia, che parla di 10 progenitori prima del diluvio come questa lista parla di 10 Re “primitivi”. Anche la fantastica età di questi personaggi è similare. Ma pure dopo il diluvio, stando ai resoconti dei babilonesi, annotiamo una dinastia di regnanti che, se pur spacciati per personaggi storici, sono da considerare dèi o semidèi, visto che, solamente quelli della I dinastia – 23 in tutto –, ressero in potere per 24.510 anni!

Non spaventatevi di fronte a queste cifre. Oggi siamo abituati a misurare il tempo partendo dal presupposto che la Terra impiega un anno ad orbitare attorno al Sole e che i mesi sono dodici come i cicli della Luna. Tenete a mente, però, che fino al 1543 (con Copernico da spartiacque) si credeva fosse il Sole a girare intorno al nostro pianeta! Eppure, i Sumeri erano nel giusto almeno 4.500 anni prima. Un bel rompicapo! Ecco perché non possiamo escludere che, in passato, gli antichi avessero in uso altri metodi per annotare il trascorrere del tempo. Pensate all’età biblica di molti profeti e non solo: ad esempio, per la dottrina Indù, un giorno terrestre di 24 ore corrisponde a 8.640 milioni di anni del Brahma. I Sumeri, dal canto loro, per la Lista dei Re utilizzarono come unità di misura il Sar, corrispondente a 3.600 anni terrestri, il tempo impiegato dal pianeta Nibiru (da dove provenivano, asseritamente, i loro dèi) per completare l’orbita ellittica fuori e dentro dal nostro sistema solare.

Giusto per confondervi ulteriormente le idee: partendo dalle asserzioni di due noti scienziati, Von Braun e Einsten, si è ipotizzato che un equipaggio che volasse nello spazio per mille anni luce, tornerebbe sulla Terra dopo 26 anni circa, ma sul nostro pianeta sarebbero trascorsi, nel frattempo, ben duemila anni!

L’austriaco Helfsen, noto ufologo, ha ripreso queste teorie, soprattutto quella della relatività del tempo, e, a sua volta, ha proposto un’interessante studio: considerando l’accelerazione uniforme e quella di frenatura (a metà percorso) di una nave spaziale, ha postulato che all’interno di una navicella, viaggiante ad una velocità leggermente inferiore a quella della luce, il tempo trascorrerebbe più lentamente rispetto al pianeta di partenza. Quindi, secondo lo studioso, questa differenza d’anni tenderebbe a dilatarsi enormemente col trascorrere del tempo, mentre fino a dieci anni non si registrerebbero variazioni di rilievo.

Tornando a noi, lo storico Manetone, riferendoci delle dispute tra Horus e Set in Egitto, pose il contendere 13.500 anni prima di Menes, iniziale re delle terre riunite. Per avere ulteriori informazioni temporali al riguardo, dobbiamo, ora, fare un salto nel Nuovo Continente.

In Sud America la creazione del mondo è da ricondurre alla figura di Viracocha (la divinità degli Incas è ricordata con il nome di Kukulcan o Quetzalcoatl per i Toltechi, per i Maya e per gli Atzechi, ma sempre della stessa persona si trattava): le leggende narrano che, dopo un diluvio della durata di una sessantina di giorni, questo essere supremo scese in una delle due isole sul lago Titicaca (che nella lingua degli Aymarà, gli indigeni peruviani, significa “Lago del puma e del pesce sacro” e “Grembo dell’umanità”: Titi infatti si traduce in “puma” mentre Caca è il nome di un pesce della zona, ricordato nelle leggende locali che narrano della creazione e del diluvio) e diede vita, dopo vari tentativi andati a vuoto, al genere umano plasmando argilla e soffiandovi l’alito della vita. Fatto ciò, si trasferì a Tiahuanaco (“Luogo dove si congiungono terre ed acque”, “Paese sotto l’acqua di Dio”, “La città del Sole e dell’acqua” e “La città eterna dell’acqua”) che dista circa venticinque chilometri dal lago già menzionato. Per gli indigeni la città fu edificata in una sola notte, dopo il diluvio, dagli déi o dai giganti.

Stando agli studi effettuati sui testi mitologici, è possibile datare la comparsa del dio attorno al 3100 a.C. e gli scavi archeologici a Tiahuanaco confermano fedelmente questa data; infatti, lo strato più antico della cittadina è fatto risalire al 3130 a.C. Fatta questa necessaria digressione, per trovare quindi un giusto collocamento temporale alla razza estinta dei giganti, oltre che far leva sul mito del diluvio, dobbiamo prendere in considerazione i racconti dei Maya, come sempre precisi e maniacali nel tramandarci anche qualche utile datazione, schiavi com’erano del loro calendario e conseguentemente del tempo: è risaputo che i Maya, come pure i Toltechi e gli Aztechi, edificavano templi e piramidi a precise cadenze, ogni cinque, dieci o vent’anni.

Ebbene, i fatti che riguardano, da vicino, i giganti, sono collocati nell’era del Quarto Sole, quello per intenderci che terminò con la trasformazione degli uomini in pesci: sembra di capire che la specie umana si salvò dalle acque grazie a qualcosa di simile ad un’arca. Questa epoca corrisponde al Pleistocene e, di conseguenza, al periodo dell’ultima glaciazione, come dire circa dodicimila anni fa.

Dove sono le prove?

Alcuni reperti esposti al Museo di Glozel

A parte i numerosi resoconti dei primi esploratori europei, giunti nel Nuovo Continente, annotiamo, da lì in poi, un susseguirsi di rinvenimenti straordinari, che spesso la scienza ha inteso ridicolizzare se non tacere. Ad onor del vero, nel corso degli ultimi cent’anni, numerosi sono stati i casi conclamati di truffa da parte di gente senza scrupoli o di semplici burloni (un po’ come quel che accade oggi con i cerchi nel grano), ma ciò non significa che tutti gli altri rinvenimenti siano da etichettare come falsità.

Per ovvi motivi di spazio e per non tediare oltremodo il lettore, abbiamo inteso sceglierne solamente alcuni, da ritenersi indicativi per l’argomento. Nel 1577, in Svizzera, vennero alla luce i resti di quello che poteva essere un uomo alto cinque metri e ottanta centimetri. All’inizio del secolo scorso, in Francia, nella località di Glozel, si rinvennero, oltre ad ossa e crani umani fuori dalla norma, anche grandi impronte di mani nonché manufatti e monili fatti apposta per essere usati da qualche gigantesco essere. La scoperta, fatta casualmente da Emile Frendin, risale precisamente al marzo 1924. In questa località, poi chiamata “campo dei morti”, furono trovati anche numerosi segni grafici incisi su tavolette di terracotta: una sorta di alfabeto, insomma. Il primo intervento fu eseguito da un archeologo dilettante, il medico Antonin Morlet: tremila i reperti portati alla luce, ancora oggi conservati al Museo di Glozel. Quanto rinvenuto nel sito fu sottoposto più volte ad analisi negli anni settanta del secolo scorso: col metodo della termoluminescenza (sulle ceramiche e sui vasi, poiché hanno subito un processo di cottura) e del carbonio 14 (per le ossa, poiché contengono sostanze organiche): i risultati furono controversi ma la tecnica del carbonio 14 evidenziò, in alcuni casi, una datazione fuori da ogni logica (si parlò, infatti, di 17.000 anni prima) e quindi non accettata dalla comunità scientifica. Infatti, ulteriori accertamenti, disposti anche dal governo francese, permisero ad altri studiosi di affermare che le ossa rinvenute risultavano introdotte nel sito in epoca posteriore. Negli anni a seguire furono scoperti pure palesi tentativi di contraffazione, tanto da screditare ulteriormente quant’era inizialmente emerso. Oggi nessun archeologo, per timore di compromettere la propria reputazione, è disposto a misurarsi con l’enigma di Glozel.

Anche in Marocco, ad Agadir, furono ritrovati degli arnesi che, teoricamente, solo degli uomini con un’altezza di quattro metri potevano sollevare: pesavano, infatti, anche otto chilogrammi l’uno e servivano per cacciare. Qualche anno dopo, nell’Havai Supai Canyon, gli uomini della spedizione scientifica Donnehey scoprirono un’incisione rupestre di un tirannosauro che, a detta degli indiani, sarebbe opera di giganti. Nel 1943, in un’isola delle Aleutine, dei genieri militari trovarono ossa e crani che, in proporzione, dovevano appartenere ad uomini alti ben sette metri!

Prestando fede ai racconti che narravano di uomini altissimi che avevano abitato, in un remoto passato, le zone oggi contrassegnate sulle cartine come Sahara, Camerun e Niger, alcune spedizioni fecero scoperte strabilianti: negli anni trenta del secolo scorso, rinvennero, effettivamente, le tracce dei giganteschi Sao. La spedizione più proficua fu quella capeggiata dall’antropologo/etnologo Marcel Griaule e dai coniugi Lebeuf (Jean Paul e la moglie Annie Masson Detournet, entrambi etnologi), negli anni dal 1936 al 1939, che interessò la zona del Ciad. Qui, si rinvennero sepolcri di dimensioni fuori del comune nonché monili di bronzo raffiguranti ibridi completamente diversi dalla nostra razza. Oggi, a quanto pare, gli appunti e le risultanze di questa spedizione sono introvabili. Marcel Graule (1898-1956), fra l’altro, è lo stesso che ci ha fatto conoscere, per primo, qualcosa in più circa i Dogon: infatti, fu a capo di diverse spedizioni nel continente africano, dal 1931 al 1946, tra cui quella (che è ricordata come Missione Dakar-Gibuti) nella quale studiò l’incredibile cosmologia di quel popolo. All’incirca in quegli anni, anche lo studioso olandese Ralph Koengswald trovò qualcosa d’interessante: dei denti molari sei volte più grandi dei normali.

Infine, per terminare questa breve carrellata, negli anni cinquanta del secolo scorso Pei Wenchung, mentre si trovava all’interno di una grotta di Lingheng in Kwansi, rinvenne una mandibola che, per dimensioni, poteva andar d’accordo con i denti di Koengsward, tanto è vero che entrambi attribuirono l’appartenenza al “gigantopitecus”.

Come spiegare il fenomeno

Anna Haining Bates, donna canadese affetta da gigantismo (al centro) alta 2,27 metri, con i genitori

Il gigantismo si può, oggi, scientificamente spiegare con il verificarsi di due fattori, da intendersi combinati tra loro: una diminuzione della forza di gravità della Terra e una maggior attrazione provocata da altri satelliti orbitanti attorno al nostro pianeta, in ogni modo diversi dalla Luna odierna.

La presenza, in tempi remoti, di più satelliti in orbita attorno alla Terra e in progressivo avvicinamento, quindi con grosse influenze sul campo gravitazionale, avrebbe potuto favorire la crescita abnorme della fauna, della flora e degli stessi esseri umani, per la semplice conseguenza di un alleggerimento del peso, che fra l’altro spiegherebbe anche il raggiungimento di età considerevoli da parte dei nostri antenati (quelle, per intenderci, che leggiamo anche nella Bibbia) perché farebbe scendere drasticamente l’usura a cui è soggetto ogni organismo vivente. Uno di questi satelliti, secondo la teoria propugnata dallo studioso Hans Horbiger (un bizzarro ingegnere vissuto nel XIX secolo che studiò alla Scuola di Tecnologia di Vienna e svolse la professione di disegnatore di macchine a vapore) si frantumò, dando vita ad un insieme di frammenti che, dopo aver attraversato il cielo, caddero rovinosamente sul nostro pianeta.

Quello che i nostri antenati videro, alzando gli occhi, non era altro che un grande “serpente di fuoco”, una definizione che rende bene l’evento e che incontriamo in quasi tutti i racconti tramandatici. Con la drastica diminuzione dell’attrazione, sarebbe poi terminata anche l’era dei giganti. Comunque sia, Horbiger non era altro che un autodidatta appassionato di astronomia e, nello specifico, alla storia e all’evoluzione del cosmo. I suoi studi lo portarono ad affermare che la Luna aveva avuto un ben preciso significato nelle antiche leggende e che la Terra, nella sua lenta evoluzione, aveva annoverato diversi satelliti che periodicamente si erano schiantati sul pianeta provocando le catastrofi di immani proporzioni.

Horbiger rinvenne tracce di gigantismo non solo in alcuni scheletri umani ma anche nella flora e nella fauna. Pur tuttavia, le teorie propugnate dallo studioso, che fanno il verso agli antichi miti dei cicli ricorrenti, risultano tuttora in netto contrasto con i dettami della scienza. Parlando di gigantismo, non possiamo fare a meno di tirare in ballo, come causa, anche un possibile innalzamento dei livelli dei raggi cosmici.

Nei periodi in cui l’attività del Sole è più intensa (nella circostanza si assiste pure al fenomeno correlato delle macchie solari, che costituiscono una formidabile barriera nei confronti dei raggi cosmici: nei periodi di maggior intensità dell’attività solare, infatti, si registra la produzione di molti ioni che vanno ad addensarsi in quella che è chiamata la fascia di Van Allen) si può osservare un notevole incremento dell’aspetto culturale umano, con la contemporanea nascita di grandi civiltà o moti di pensiero. Viceversa, in presenza di una scarsa attività del Sole, con la protezione che affievolisce notevolmente e permette alle radiazioni cosmiche di colpire la Terra, si registra un inevitabile declino delle attività sul nostro pianeta, accompagnato da una diminuzione considerevole delle nascite. Insomma, le attività del Sole e il campo magnetico terrestre, interagendo tra loro, periodicamente, riescono ad influenzare, anche in maniera pesante, la nostra esistenza.

In sostanza, i raggi cosmici, agendo sui geni e sui cromosomi, potrebbero anche provocare mutazioni, tanto da giustificare la comparsa, per la flora e la fauna, di nuove specie mentre per la razza umana ci sarebbe da considerare, appunto, il fenomeno del gigantismo.

Quali conclusioni?

Come avete potuto notare la problematica è di una complessità notevole. Interpretare correttamente i racconti mitologici non è affatto semplice e le “prove” finora venute alla luce si prestano, purtroppo, a considerazioni decisamente contrastanti. Per non parlare delle teorie alternative, a volte anche ardite, categoricamente rifiutate dall’élite scientifica.

Al momento non è quindi veramente possibile giungere ad una risoluzione soddisfacente, nella considerazione dell’evidente mancanza di solide basi su cui poter studiare e riflettere. L’argomento meriterebbe, di per sé, ben altri sforzi: eventuali sviluppi nella giusta direzione, infatti, produrrebbero chiare ripercussioni sul nostro modo di intendere, oggi, il remoto passato della Terra e di coloro che l’hanno abitata prima di noi.

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