“Quando in alto il cielo non era nominato
e qui in basso la terra non era stata chiamata
con un nome, l’apsù primordiale, loro genitore,
e Mummu-Ti’amat, genitore di tutti loro,
confondevano in un tutto le loro acque…”
Dal poema accadico della creazione Enuma elis.
Una moltitudine di dèi Scorrendo quanto contenuto nei miti di tutto il mondo, appare lampante il fatto che, a parte la schiera di divinità di volta in volta indicate, almeno due sono le figure, in senso lato, veramente importanti da considerare: un dio “creatore” e un dio “civilizzatore”. Spesso, queste due personalità trovano riscontro in un unico soggetto, che, quindi, assurge alla duplice funzione della creazione e della civilizzazione degli esseri umani. Infatti, le due figure, pare di capire, interagiscono tra loro e, avendo prerogative diverse, generalmente non si ostacolano. E’ quindi del tutto normale, addirittura sensato, che, col passare del tempo, il mito abbia accorpato i due soggetti divini, anche per realistiche ragioni da ricondurre alla pratica del culto stesso. Questo succede, evidentemente, nelle religioni monoteistiche: il cristianesimo, l’ebraismo, l’islamismo e il zoroastrismo su tutte.
Sul monoteismo si potrebbe scrivere a non finire. Chiaramente, in questa sede, non è nostra intenzione farlo. Forniremo, di seguito, alcune basilari informazioni, giusto per fornire al lettore curioso quanto necessario per capirci qualcosa.
Il concetto di un’unica divinità è praticamente assente nei popoli non letterati. Il primo esempio di monoteismo nella storia del mondo antico risale al XIV secolo a.C. e prende forma in Egitto con il dio Amon Ra, che diventa Aton, associato al Sole (nella celebre riforma religiosa intrapresa dal faraone Amenhotep IV della XVIII dinastia). Si diffonde, circa seicento anni dopo, anche in Asia Minore, con l’ebraismo e il zoroastrismo. In età più tarda incontriamo il cristianesimo e l’islamismo.
Pur tuttavia, in tutte queste forme di religione, al dio onnipotente è sempre contrapposta una figura che simboleggia il male.
Numerosi sono, inoltre, gli esseri soprannaturali, da considerarsi divinità minori e derivate, cioè che traggono i loro poteri divini dall’essere supremo: tra questi, riconosciamo, senz’altro, gli angeli, i cherubini e i santi. Altre volte, e qui cominciamo ad occuparci del politeismo, oltre al “creatore” e al “civilizzatore”, compaiono molteplici e curiosi personaggi che, pur facendo parte dell’entourage divino, non hanno la medesima importanza. La loro peculiarità è insita nell’essere specialisti, ognuno, in determinate branche del sapere. Ecco che incontriamo una moltitudine di divinità che occupa i pensieri e le preghiere dei popoli che ci hanno preceduto: i Sumeri, gli Egizi, i Maya e via di questo passo. Emerge che l’uomo del passato, che qualcuno ancor oggi considera “primitivo”, aveva ben focalizzato, nella sua mente, le prerogative che ciascuna divinità assommava, tanto da poter individuare con precisione il dio da venerare all’occorrenza. Così facendo, al tempo stesso, il nostro antenato andava a realizzare un vero e proprio pantheon, dotato di una struttura gerarchica ben delineata, all’interno del quale ciascuna divinità sapeva cosa fare. Dovremo forse dire, considerando il ruolo dei protagonisti (dèi da una parte e uomini dall’altra), ribaltando la visione d’insieme e facendo leva sulle origini del mito (l’ipotetica prima ‘manifestazione’ di questi esseri superiori), che le stesse divinità, volenti o nolenti, avevano inculcato, nell’immaginario umano, una serie di elementi determinanti alla formazione dell’idolatria. Non è nostra intenzione snocciolare, ora, un arido e noioso elenco di queste divinità, ma è pur vero che di qualcuno dobbiamo far menzione, giusto per poter sviscerare l’argomento nel modo meno lacunoso possibile. Lo faremo coerentemente, affrontando il tema per alcune zone geografiche che riteniamo eloquenti.
Non tratteremo, qui, la mitologia definita “classica”, propria dei Greci e dei Romani, poiché chiaro ricettacolo di leggende appartenenti ad altri popoli. Non disperate…
Il fango di Manitù Senza entrare veramente nel merito (la mitologia, sviluppatasi attorno alle varie tribù indiane del Nord America, meriterebbe da sola, ben altro spazio), dobbiamo necessariamente limitarci all’essenziale. Ecco, allora, che andiamo ad individuare la figura del trickster, uno spirito che rappresentava sia il bene che il male: aveva sembianze umane ma anche animali e incarnava, contemporaneamente, il bene e il male. A lui si doveva il merito della creazione dell’universo.
Strano personaggio, questo trickster, che assumeva, di volta in volta, sembianze diverse, a seconda della tribù e del mito di cui è protagonista: lepre, coniglio, corvo, coyote, ragno e visone sono gli animali più rappresentati. Nelle pianure del nord America è vivo anche il ricordo di una donna “bisonte”, come vedremo in seguito. Questo dio impersonale, che gli indiani delle zone del Canada, come i Delaware, chiamano Manitù, stando ai racconti, svolgeva la sua funzione di creatore tuffandosi in fondo al mare per raccogliere del fango che poi trasformava in terra. A parte la creazione (vi sembra poco…) questa divinità non faceva altro e preferiva delegare ai suoi simili la gestione di cose più terrene. Quindi, incontriamo in queste leggende una schiera ben nutrita di dèi, spesso associati alle stelle più luminose. Il vento, il temporale e, in particolar modo il tuono, erano le manifestazioni della natura che sovente sintetizzavano le peculiarità del divino. I racconti dei Sioux ci parlano, direi in maniera assai generica, di un certo Wakan’tanka, ossia il Grande Mistero, colui che donò tutto ciò di cui l’uomo poteva aver bisogno nella sua vita terrena.
Il Signore dello specchio fumante Gli Olmechi ado I Maya riconoscevano il dio Hunabku, creatore del cielo e della terra e padre di tutti gli déi; suo figlio Itzamnà (letteralmente “iguana” o “lucertola”), dio del fuoco e dei vulcani, era il creatore del genere umano ma anche inventore delle scienze e della scrittura, mentre Kinich Ahau era il dio del Sole, una rappresentazione astrale di Itzamnà. Per i Toltechi e, in seguito anche per gli Aztechi, era Tezcatlipoca (signore dello specchio fumante o ardente, così chiamato perché guardava il mondo attraverso uno specchio magico di ossidiana) ad aver originato tutto sulla terra e, in un contesto prettamente bellicoso che da sempre ha contraddistinto questa gente, non poteva assolutamente mancare una figura da identificare con la guerra: ecco, allora, Huitzilopochtli (il nome nasce dall’unione delle parole “colibrì” e “sinistra”, perché è solitamente raffigurato con le penne di questo uccello sul piede sinistro), che esigeva dai suoi adepti i ben noti sacrifici umani. Entrambe queste divinità, si noti bene, non erano altro che due dei quattro figli cosmici degli onnipotenti Ometeotl e Omecihuatl, da intendere qui come la perenne dualità, maschile e femminile ma anche il bene e il male.
Qualcuno si è persino divertito a contare, una per una, tutte le divinità degli Aztechi, arrivando a tredici per le principali e circa duecento per quelle minori. Il fatto che a ciascuna fosse dedicato un giorno dell’anno e una festività non vi ricorda qualcosa? Tra questa moltitudine, notevole importanza rivestiva Tlaloc, associato alla pioggia, nonché la sorella e sposa Chalchiuitlicue, rappresentante dell’acqua; ciascuno, infatti, riuscì a governare una delle cinque epoche che secondo la leggenda si susseguirono sul nostro pianeta. Stando ai racconti, Teotihuacan (nella lingua nauhatl degli Aztechi, “La dimora degli dei” o “La città dove nascono gli dei”), le cui rovine si trovano a circa sessanta chilometri da Città del Messico, fu costruita nella cosiddetta età del Quinto Sole, spiritualmente considerata l’era del movimento, la stessa alla quale apparteniamo e che dovrebbe terminare, secondo il calendario dei Maya, nel 2012. In questa carismatica località gli dèi si erano riuniti per creare il Quinto Sole, dopo che i precedenti, ognuno associato a divinità diverse, erano bruscamente terminati a causa di varie catastrofi naturali. Infatti, il Quarto Sole non era più visibile e la terra era avvolta dall’oscurità; nonostante ciò, a Teotihuacan una fiamma divina continuava ad ardere. Occorreva far riapparire il Sole e le divinità dovevano decidere chi fra loro si sarebbe sacrificato nella fiamma divina in nome di una nuova era, diventando così la personificazione del Sole e della Luna. Il dio Nanauatzin fu il primo a buttarsi nel fuoco, seguito dal dio Tecuciztecatl. Quest’ultimo aveva inizialmente esitato ed infine, seguendo l’esempio dell’altro, trovò la forza ma si fermò sul bordo della fiamma. Quando le due divinità furono arse, in cielo riapparvero il Sole e la Luna che rimasero immobili finché un altro dio si premunì di scagliare in alto una freccia in direzione dell’astro splendente.
Il sole sorge dal Titicaca I primi abitanti del Perù, ancora prima degli Inca, adoravano Viracocha, dio dell’universo, creatore del mondo e del cielo.
Era lui ad aver fatto sorgere il sole dalle acque del lago Titicaca; poi, a Tiahuanaco, antica e leggendaria dimora dei giganti, aveva plasmato la terra e dato vita sia agli animali che agli uomini.
Le leggende locali narrano che Tiahuanaco fu edificata in una sola notte, dopo il Diluvio, dagli dèi o dai giganti.
E’ impressionante constatare che gli indiani Apaches, ancora oggi, sono in grado di descrivere Tiauhanaco senza averla mai vista.
Lo rivela l’etnologo L.Taylor-Hansen che, in visita ad una tribù stanziata in Arizona, racconta di come gli indigeni conoscano la località perché un tempo era il centro del loro leggendario impero; sono addirittura in grado di descrivere la statua del “bianco barbuto”, quella per intenderci di Viracocha. Il dio bianco fece qualcosa di analogo anche a Machu Picchu (“Paradiso delle tre finestre”), stavolta con la preziosa collaborazione dei fratelli Ayar. Si narra, infatti, che un giorno giunsero gli dèi guidati da Viracocha, che inviò questi fratelli con le rispettive mogli su quel cucuzzolo. Dopo che uno di loro fu rinchiuso dagli altri in una grotta che fungeva da prigione e averlo pure trasformato in pietra (non siamo comunque in grado di spiegare la ragione di un siffatto trattamento), tre dei quattro germani si affacciarono alle tre finestre e cominciarono il grandioso progetto. Uno di questi era destinato ad essere ricordato come l’iniziatore della civiltà, millenni prima degli Incas: inevitabile il raffronto con i personaggi biblici Cam, Sem e Jafet. Per quel che riguarda i fratelli Ayar, uno di loro era identificato nel mitico Marco Capac, fondatore di Cuzco. La leggenda narra che il dio Viracocha avesse dato a Manco un bastone d’oro e questo solo in quel luogo riuscì ad essere conficcato nel terreno. Era il segno evidente che lì doveva sorgere una città sacra.
Per la gente costiera, Viracocha era degnamente rappresentato dal figlio, Pachacamac, letteralmente “animatore del mondo” o “padre della terra. In seguito verrà ricordato anche come il dio dei terremoti. Altre divinità minori, al suo seguito, Inti (il Sole), Illapa (signore del lampo e della tempesta) e Mama Kilya (la Luna, sorella e sposa di Illapa). Tralasciamo, volutamente, tutti gli altri.
Sulle rive del Tigri e dell’Eufrate Da sempre la Mesopotamia è considerata la culla della civiltà e partendo da questo presupposto, fino a prova contraria, è proprio qui che possiamo attingere le migliori informazioni riguardo ai miti.
Sono migliaia le tavolette cuneiformi, risalenti al III millennio a.C. rinvenute durante gli scavi archeologici e quasi tutte narrano delle gesta delle divinità sumere, da far risalire ad un passato veramente remoto. An era il dio del cielo e Nammu la dea dell’acqua e della creazione. Dalla loro unione era nato Enki, da associare, inevitabilmente, all’acqua; considerato un dio molto saggio, verrà invocato continuamente dai terrestri. Questo Enki ebbe la brillante idea di creare l’essere umano, al fine di impiegarlo nel lavoro al posto degli altri dèi minori. A questo dio va il merito, stando ai testi rinvenuti, di aver avuto per primo l’idea di creare l’uomo utilizzando, come base di partenza, l’ibrido primitivo che viveva, all’epoca, sulla terra. Chiaramente, per fare ciò, si avvalse del sostanziale operato di altri dèi che, a quanto sembra, erano, per così dire, “specializzati”. Ma il progetto, pare di capire, non deve essere riuscito alla perfezione perché, ad un certo punto, l’uomo si ribellò a chi l’aveva creato (sintomatico l’episodio del Giardino dell’Eden e le successive vicende che hanno interessato la specie dei giganti).
Tutte le divinità qui in trattazione, scorrendo le pagine dei miti, erano state create da An ed erano chiamate Annunaki.
Da quel che sembra, An lasciava campo libero, nella gestione delle cose terrene, agli altri dèi, soprattutto ai figli Enki, Enlil (posto a capo degli dèi) e Inanna (associata al cielo e alla terra, era la dea della guerra ma anche del parto e dell’attrazione erotica; generalmente, veniva rappresentata come divinità astrale di Venere). Al di là della famiglia “reale”, innumerevoli erano gli altri dèi dell’élite sumerica: è giusto fare un cenno almeno al marito di Inanna, Dumuzi, divinità della steppa. Infatti, i sovrani sumeri, con l’anno nuovo, erano soliti celebrare un solenne rituale per favorire la fertilità ed il rinnovamento della vita umana, animale e vegetale. La coppia nuziale per antonomasia era la protagonista di questa rievocazione.
Ogni divinità, poi, aveva un santuario in una determinata città della Mesopotamia: ad esempio Enlil a Nippur, Enki a Eridu e Inanna a Uruk. I Babilonesi e gli Assiri, dal canto loro, ereditarono buona parte della cerchia di divinità dai Sumeri, a volte modificandone solamente il nome. An, di conseguenza, si trasformava in Anu mentre Enki, ad esempio, diventava Ea. Stessa sorte per Enlil (Ellil), Inanna (Ishtar) e tutti gli altri. Tra questi, emergeva, in ogni modo, con prepotenza, un nuovo dio, tale Marduk, figlio di Ea (Enki), che diventerà la maggior divinità ai tempi del regno di Hammurabi. Marduk era sovente associato al Sole (Shamash) e, per alcune sue prerogative, ricordava da vicino il Ninurta sumerico. Con l’avvento degli Assiri, che presero a prestito molti dèi babilonesi, il panorama divino si ingarbugliava non poco: è chiaro che la tradizione originale, quella sumera, era, a questo punto, largamente rimaneggiata. Tra le divinità rimaneva Marduk, anche se ora si venerava col nome di Assar: Pur cambiando nome, era sempre lui l’artefice principale della creazione. Emblematico il caso degli Ittiti: ogni volta che estendevano i domini su altri popoli, pur continuando a venerare i propri dèi (gli stessi adorati, prima di loro, dagli Urriti), assorbivano anche quelli locali, tanto da arrivare a migliaia di divinità. Anche i Fenici attinsero dalla mitologia dei Sumeri e quindi dei Babilonesi. Il loro dio Baal non era altro che una reminiscenza di El e di Marduk. Qui, capite bene, occorre fermarci.
Nella terra dei faraoni L’antico Egitto si distingue, in questo intricato ed intrigante resoconto della creazione narrata dai miti, perché annoverava ben quattro versioni dell’accaduto, Qui tratteremo, per sommi capi, solamente la più completa e conosciuta di queste, sviluppatasi nel centro di Eliopoli. Il protagonista era Amon o Atum, che in seguito verrà associato a Ra, dio del Sole. La divinità, con il corpo di un uomo e la testa di un falco, emergeva dalle acque primordiali di Nun, un vuoto senza alcuna forma. Conscio dei suoi limiti, per la complicata opera della creazione, decise di far nascere dal suo seme altre divinità: i fratelli Shu (dio dell’aria) e Tefnut (dea dell’acqua). I rapporti incestuosi dei due portarono alla luce Geb, dio della Terra, e Nut, dea del Cielo. L’unione tra Geb e Nut si dimostrò proficua poiché furono quattro i figli della coppia: due maschi (Osiride e Set) e due femmine (Iside e Nefti). Le nove divinità qui citate, nel loro insieme, rappresentavano la “Grande Enneade di Eliopoli”, ovvero la personificazione della bellezza, della magia e del potere. Come in altre parti del mondo, anche le divinità egizie passavano il tempo litigando tra loro. Set era geloso di Osiride e tra i due iniziava una lotta di potere senza quartiere, con Iside, moglie di Osiride, vera protagonista di questo racconto. Fu lei, infatti, a venire in soccorso al marito, prima ucciso e poi smembrato dal fratello cattivo: con l’aiuto di Anubi, il dio imbalsamatore che fungeva da guida delle anime dei defunti (rappresentato con la classica testa dello sciacallo), riuscì a riunire i frammenti del fratello/consorte.
Sarà il figlio Horus, dio del Cielo raffigurato dalla figura del falco, a vendicare Osiride e, dopo alterne vicende, l’avrà vinta, quando Amon Ra, e con lui il pantheon al completo degli dèi, deciderà per la legittimità dell’erede di Osiride sulle terre del Basso Egitto mentre a Set verrà assegnato l’Alto Egitto. In conseguenza dell’irrevocabile decisione presa in seduta plenaria, Osiride diverrà dio dei Morti mentre Set, cacciato nel deserto, dio del Tuono e delle Tempeste. Da allora, i faraoni delle diverse dinastie si crogiolarono di essere la personificazione terrena di Horus con la presunzione, alla morte, di trasformarsi in Osiride. Il noto rito dell’apertura della bocca, che i sacerdoti egizi eseguivano sulle mummie dei sovrani, serviva, appunto, a mutarli nella divinità dei morti. Horus, assieme a Thot, Anubi e Maat, faceva parte di quella che era definita la “Piccola Enneade”.
Le quattro facce di un dio Le tradizioni riferite all’India sono contenute, per lo più, nei cosiddetti ‘Veda’ (letteralmente “quanto viene udito”), un insieme di quattro volumi che contengono le gesta di una razza divina facente capo agli dèi Brahma (il creatore), Vishnu (dio della conservazione) e Shiva (dio della distruzione) nonché dalla dea Devi. Occorre, già da subito, fare una precisazione: Vishnu e Shiva, pur essendo ancor oggi venerati da schiere opposte di credenti, rappresentavano, in ogni modo, aspetti diversi comunque riconducibili ad un’unica suprema divinità. Dal suo canto, la dea Devi (adorata anche come Kali, Radha e Bhumi), incarnava il lato femminile dell’essenza divina e, grazie alla sua energia e a quella maschile, aveva permesso la nascita dell’universo. Brahma, il creatore, aveva acquisito la saggezza, quella espressamente contenuta nei testi vedici, prima di ogni altro e l’aveva poi trasmessa oralmente, ancor prima che questa venisse trascritta. Vishnu, che aveva la facoltà di incarnarsi in esseri ogni volta più evoluti (tra gli altri, che forse avete sentito nominare qualche volta, ci sono anche il re Rama, il mandriano Krishna e il maestro Buddha), poteva contare sul figlio Ganesh per comunicare con il genere umano ma anche sul fido messaggero Narada. Da lì, la solita schiera di divinità: Agni era quella del fuoco, Indra rappresentava il cielo e la pioggia mentre Ganga era la dea del fiume Gange e figlia dell’Himalaya. Associato al vento era il dio Vayu, al Sole il dio Surya. Non poteva mancare un dio della guerra: ecco, allora, Kartikeya. La mitologia correlata alla creazione è stata inserita nel Rig Veda, uno dei testi più antichi al mondo, risalente al 2000 a.C. Qui si narra del seme di Vishnu che galleggiava nell’Oceano della Creazione. Ogni seme si trasformò, poi, in uovo dorato e Vishnu vi entrò in qualità di Purusha (“persona cosmica”). Così facendo, il dio riuscì a trasformare questa inerte materia in terra, acqua, fuoco, aria ed etere. Con successive trasformazioni, ma sarebbe meglio dire incarnazioni, diede vita a tutto il resto. Molti dei personaggi mitologici dell’India si ritrovano, con minime variazioni, anche nello Sri Lanka e in Tibet. Il brahmanesimo (un culto che prendeva spunto dal vedismo, una religione ancora più antica) fu la principale religione praticata in India, almeno fino all’avvento del buddhismo, nel V secolo avanti Cristo. Questo ultimo credo trae spunto dall’illuminazione del profeta Buddha che, pur convinto da Brahma (apparsogli in visione) a mettere le sue qualità al servizio dell’umanità, predicava, comunque, una concezione di vita ascetica assai dissimile dagli insegnamenti dell’altra religione. Il buddhismo, che rifiuta sostanzialmente il brahamanesimo, si sviluppò in Asia, India, Birmania, Tibet, Cina e Giappone: conta oggi più di cento milioni di adepti.
Il paradiso dei guerrieri I miti norvegesi, che hanno molte similitudini con la saga germanica dei Nibelunghi, narrano di Odino, capo degli dèi. Questa divinità aveva perso un occhio per la bramosia di conoscenza: infatti, la leggenda racconta di come lasciò cadere l’occhio, il prezzo da pagare per scrutare nel futuro, all’interno della fontana magica di Mimir.
Attorno a lui, nel paradiso di Asgard, una vasta schiera di divinità: Tyr (dio della guerra), Thor (dio del tuono), Freyr (dio dei frutti della terra), Heimdall (custode di Bifrost, l’arcobaleno che, secondo la tradizione, fungeva da tratto d’unione tra la Terra ed Asgard) e Balder (il prediletto, figlio di Odino e della moglie Frigga). Wotam (altro appellativo di Odino) viveva nel Walhalla, la sede degli dèi costruita dai giganti, un meraviglioso palazzo munito di 540 porte, dimora degli dèi caduti in battaglia, qui trasportati dalle Valchirie. Tra i malvagi una particolare menzione per Loki, dio del fuoco. La saga ruota attorno al Ragnarok, il giorno del giudizio, che quando arriverà, distruggerà tutto, in cielo e in terra. Molte divinità periranno in questa resa dei conti ma, infine, quattro giovani dèi, fra cui due figli di Thor, riusciranno a vedere l’alba di un giorno nuovo e accompagneranno Lif e Lifthrasir, gli unici umani sopravvissuti, nel difficile compito di ricominciare tutto daccapo.
L’uovo primordiale di Panku In Cina, perlomeno nella porzione a sud-ovest di questa nazione, si tramanda la figura del gigante Panku che dormiva all’interno di un grande uovo. Quando si svegliò e ruppe l’involucro, ne uscì il necessario per la formazione del cielo e della terra. Pare che il buon Panku trascorse la maggior parte della sua esistenza a tenere separati i due elementi e quando morì, ogni parte del suo corpo si trasformò, contribuendo alla creazione di qualcosa di specifico: ad esempio la carne fece il terreno da coltivare, il sudore divenne la pioggia, i capelli formarono le stelle. E l’uomo? Beh, si dice che furono le sue pulci a dar vita ai nostri antenati… La figura del civilizzatore, nei ricordi ancestrali dei cinesi, è rappresentata dall’essere immortale Huang Ti, “l’imperatore giallo”, che inventò la bussola e la moneta. Col trascorrere del tempo, si sentì anche la necessità di compilare un elenco dei sovrani divini: alla fine della conta, dodici furono gli imperatori celesti, undici quelli terrestri e venticinque i sovrani. Tra le figure notevoli, che meritano almeno una citazione, il dio della medicina Shennong, quello dei venti Feng Bo e la divinità associata al tuono, Leigong. Non possiamo esimerci dal ricordare anche l’immagine del Drago, nella lingua locale Loong, che a differenza di quel che accadeva in tutto il mondo antico, aveva qui un aspetto altamente positivo, portatore di allegria e fortuna: non per niente era assimilato a Phuc, il dio della felicità.
D’altronde i monaci Shaolin, sugli avambracci, avevano due tatuaggi, quello del drago e della tigre, rispettivamente la forza dello spirito e della forza fisica, energie opposte ma complementari. Ancora oggi, durante le festività, assistiamo alla cosiddetta “danza del drago”, eseguita dagli adepti delle scuole di Kung Fu, che racchiude in sé un compendio di quelle tradizioni che, altrimenti, si sarebbero perse per sempre.
Un groviglio di altri miti Avrete già inteso che, di questo passo, si potrebbe disquisire ancora parecchio.
Non è il caso. E’ un groviglio pazzesco. Chi volesse approfondire l’argomento, per quel che riguarda miti e leggende che in questa sede non hanno trovato spazio, può senz’altro munirsi di uno dei tanti volumi in circolazione, a volte enciclopedici, in grado di soddisfare ogni curiosità. Qui si è voluto introdurre la tematica, cercando di fornire le informazioni ritenute indispensabili per la comprensione dello scritto. Già di per sé questo lavoro, pur con tutte le lacune possibili, è quello che mi ha dato più da fare e penso, se siate arrivati a leggere queste righe finali, sarà stato un bell’ostacolo anche per voi.